Dopo il ritorno all’horror e alle origini del suo cinema con Il signor diavolo dello scorso anno, Pupi Avati ci ha regalato un film sull’amore universale e sul potere della memoria: Lei mi parla ancora. Sotto la sua direzione un cast eccezionale.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo autobiografico di Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta, Lei mi parla ancora racconta la storia d’amore tra Nino (Renato Pozzetto) e Caterina (Stefania Sandrelli). Entrambi farmacisti, sposati da 65 anni, si amano profondamente sin dal loro primo incontro e si sono giurati amore “per sempre”.
Alla morte di Caterina, la figlia (Chiara Caselli), nel tentativo di aiutare il padre a superare la perdita, ingaggia un ghost writer (Fabrizio Gifuni) che ne raccolga le memorie. Sarà un incontro tra due personalità molto diverse, uno scontro generazionale e di modi opposti di intendere la vita, la stabilità dei sentimenti di Nino contro l’instabilità emotiva e la perenne insoddisfazione dello scrittore. Alla fine porterà a un’intensa amicizia e alla condivisione dei ricordi che Nino cerca gelosamente di conservare.
L’amore e l’immortalità dell’arte in un film poetico e universale
Il film è principalmente una storia d’amore e di assenza, dei ricordi che riempiono il cuore. Dopo l’incredulità dell’abbandono e l’improvvisa solitudine, la dimensione dell’affetto sconfinato del protagonista assume quella del ricordo. I frammenti di una vita vissuta insieme a “la Rina” si alternano tra passato e presente, racchiusi nell’intimità della loro casa-museo, con gli oggetti, l’arredamento, i dipinti accumulati negli anni.
Diretto da Pupi Avati, in Lei mi parla ancora spicca un Renato Pozzetto inedito, per la prima volta in un ruolo drammatico che, con l’innocenza infantile del suo humor, dona fragilità e fermezza a Nino. L’intensità del ritratto commovente di un personaggio che non permette nemmeno alla morte di separarlo dalla donna che ama, a cui ha giurato amore eterno.
Pupi Avati, un maestro della memoria
La memoria ha spesso attraversato la filmografia di Avati. Classe 1938, uomo maturo, adulto, di fronte alle sue paure, in questa fase della vita, si guarda indietro. Resta indubbia la sua capacità di raccontare una storia personale come se fosse universale. Il Regista riscopre la sua terra, il suo mondo, la musica, il cinema. Proprio come nella sequenza del cineforum con la proiezione de Il settimo sigillo di Bergman, dove si manifestano come due pilastri le ombre della morte e l’amore che sopravvive a tutto.
Tra i ricordi e le poesie, densa di significati, compare una citazione a riassumere forse il senso di tutto il film, quella di Cesare Pavese tratta dai Dialoghi con Leucò: “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnati”. Tutta la delicata storia, alla fine, sembrare ruotare attorno a questa frase.
È un elogio all’immortalità, anche quella dell’opera d’arte, che sia pittura, scultura, poesia o cinema, come dell’amore. L’amore come sentimento infinito, che supera la morte, in un legame in cui si continua a parlare all’altro ancora, e ancora, senza fine.
Il 10 marzo, alle 18.00, il regista sarà ospite del Webinar “Incontro con l’autore. Pupi Avati – L’archivio del diavolo”. Per partecipare all’evento è possibile iscriversi al seguente link.
(Foto: Ufficio Stampa Sky Tv Cinema)
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