I ricercatori trovano “rocce di plastica” in 11 Paesi. Il nuovo allarme ecologico annuncia il passaggio del pianeta alla nuova era, l’Antropocene.
Poco più di dieci anni fa la geologa canadese Patricia Corcoran, dell’Università dell’Ontario Occidentale, studiò alcuni detriti raccolti sulla spiaggia hawaiana di Kamilo Beach da una nave oceanografica. Si trattava di formazioni in cui frammenti di rifiuti plastici, semifusi ma ancora riconoscibili, tenevano insieme pezzi di roccia, sabbia e conchiglie. Li denominò “plastiglomerati”. Valutò fossero il risultato di un qualche falò acceso da turisti, ma si chiese anche quanto fossero comuni e destinati a durare e proliferare.
Le “rocce di plastica”
Nel tempo è arrivata la risposta ai suoi quesiti con il loro rinvenimento in diverse parti del mondo e con risultati anche peggiori di quelli allora ipotizzabili. Di fatto dai plastiglomerati siamo passati a quelle che qualcuno ha già definito plastic-rock. “Rocce di plastica” formatesi quando detriti di materiale sintetico vengono assorbiti irreversibilmente nella roccia madre, a seguito di eventi naturali come inondazioni, incendi o eruzioni sotterranee.
I risultati di una recente indagine, pubblicati sulla rivista americana Environmental Science & Technology, hanno evidenziato la presenza di questi conglomerati rocciosi in 11 Paesi (dalle Hawaii alla Cina, sino all’Italia in prossimità dell’isola del Giglio), la loro distribuzione anche in aree interne e il legame chimico creatosi tra plastica e roccia.
Siamo già nell’Antropocene
La plastica ci invade. Non solo le sue micro e nano particelle contaminano tutto (ad esempio, è di questi giorni una ricerca della Columbia University che valuta quelle presenti nelle bottiglie di acqua minerale da 10 a 100 volte superiori alle precedenti stime), ma si sta anche letteralmente sedimentando negli oceani. E crea veri e propri conglomerati di detriti costituiti in buona parte da poliestere.
Siamo di fronte a una prova diretta dell’ingresso di rifiuti nei cicli geologici, di fatto a un’ulteriore forte attestazione che viviamo nell’Antropocene. Nell’era geologica in cui le attività dell’uomo attuano modifiche territoriali, strutturali e climatiche, fino a incidere sui processi che trasformano il nostro pianeta.
Plastica ed eventi climatici
Inoltre i rischi ecologici indotti dai plastiglomerati e dalle plastic-rock possono essere esacerbati dal cambiamento climatico e dai sempre più frequenti eventi climatici estremi. La ricerca futura dovrebbe valutare questo campanello d’allarme per la salute degli oceani, l’economia blu e il benessere umano in generale nel quadro ampio dei flussi degli ecosistemi e degli impatti dell’inquinamento da plastica. Entrambi hanno già conseguenze dirette sulla salute di tutti gli esseri viventi.
«Questo è nuovo e terrificante allo stesso tempo, perché l’inquinamento ha raggiunto la geologia», ha detto all’Agenzia Reuters Fernanda Avelar Santos nel marzo scorso dopo aver esaminato delle rocce provenienti dall’isola brasiliana di Trinidade. Situata a oltre 1.100 km dalla costa è l’ultimo paradiso delle tartarughe verdi, le chelonia mydas in via di estinzione, che ogni anno in centinaia di esemplari la raggiungono per deporre le uova.
La plastica è già materiale geologico?
La geologa dell’Università Federale del Paranà, nel constatare come la plastica delle reti da pesca abbandonate e portate dalle correnti si fosse fusa completamente alla roccia delle coste, disse con qualche sgomento che ormai «l’inquinamento, la spazzatura in mare e la plastica scaricata in modo errato negli oceani (si stimano per difetto in oltre otto milioni di tonnellate l’anno, ndr) stanno diventando materiale conservato nei registri geologici della Terra». Non solo materiale che uccide centinaia di migliaia di animali marini, dai microrganismi alle foche; non solo particelle infinitesimali, ma non per questo non dannose, che ritornano a noi attraverso cibo e aria per circolare liberamente nel nostro corpo.
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