Si parla molto di vitamina D. Il suo principale ruolo è quello di regolare le concentrazioni di calcio e fosforo, elementi deputati al mantenimento della mineralizzazione ossea, la contrattilità muscolare e l’azione del sistema immunitario.
La maggior parte degli alimenti non contiene vitamina D. Tuttavia si tratta di un composto stabile, che non si altera con la cottura o la conservazione degli alimenti. Si trova soprattutto nei derivati del latte, nel pesce e nel tuorlo d’uovo.
Fondamentale per l’assimilazione è l’esposizione al sole, che deve essere regolare per tutto l’anno, ed è sufficiente a carico di viso, mani e gambe. La sua carenza è asintomatica, ma se si protrae lungamente può indebolire la forza muscolare negli adulti.
La somministrazione della vitamina D è prevista in due diversi scenari. Il primo è relativo alle patologie che non richiedono il dosaggio plasmatico preventivo, come gli anziani ospiti delle case di cura. Il secondo invece riguarda le persone affette da osteoporosi o che assumono farmaci interferenti con il metabolismo della vitamina D (cortisonici, antimicotici). Oppure persone con sintomi attribuibili a ipovitaminosi D, che presentano astenia, dolori muscolari e frequenti cadute immotivate.
Al contrario, la somministrazione in eccesso può provocare calcolosi renale, rischio di fratture e aumento del calcio plasmatico. Inoltre, è stato dimostrato che la somministrazione preventiva non è utile per prevenire le malattie cardiovascolari. Dunque, è sempre importante rivolgersi al medico per eventuali prescrizioni.
SINESI DI: Somministrare la vitamina D? Una guida al corretto uso, Cuore Amico, numero 1, anno 2020
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