Mascherine al chiuso, mascherine anche all’aperto. Mascherine sempre (o quasi). Le usiamo tutti, per forza di cose. E le useremo ancora a lungo. In tutto il mondo. È un’occasione imperdibile per un gruppo di ingegnosi ricercatori cinesi: perché non massimizzare l’uso della mascherina, unendo l’utile all’utile?
Ecco la loro idea geniale (ovviamente già brevettata). Il dispositivo che ci protegge dal coronavirus potrebbe diventare anche uno strumento diagnostico estremamente efficace nell’individuare una vasta gamma di malattie, dalle intolleranze alimentari, alle patologie respiratorie.
La dobbiamo usare, tanto vale sfruttarla al massimo
Gli scienziati hanno dimostrato infatti che una particolare fibra di tessuto inserita all’interno di una semplice mascherina N95 (o FFP3, quella maggiormente protettiva, per intenderci) potrebbe raccogliere piccole particelle contenute nel respiro esalato che, una volta analizzate, possono fornire preziose indicazioni sulla salute di chi indossa il dispositivo di protezione sul volto.
In sostanza questo sistema potrebbe sostituire il test del respiro con cui si eseguono diagnosi di malattie respiratorie, di intolleranze alimentari, con cui si rilevano anomalie della flora batterica intestinale e grazie al quale si individua la presenza del batterio Helicobacter pylori responsabile di gastriti e ulcere gastroduodenali.
Dall’analisi delle particelle contenute nel respiro si può anche capire come l’organismo metabolizza i farmaci che assume, un’informazione preziosa per sapere se il tipo di terapia e il dosaggio stabilito stanno funzionando o se invece la medicina non viene assorbita correttamente.
Il paziente non va a fare l’esame? L’esame va dal paziente
L’unico modo per ottenere tutto ciò, finora, era recarsi in un centro specializzato per eseguire il “breath test”. L’esame di per sé è semplice, indolore e rapido. Basta infatti soffiare all’interno di un tubicino. Ma, ovviamente, bisogna avere il tempo per farlo e la possibilità di muoversi senza difficoltà. I più giovani con giornate piene di impegni o i più anziani con problemi motori spesso finiscono per rinunciare a un esame che, sbagliando, ritengono non urgente.
Il dispositivo ideato dal gruppo di scienziati della Jinan University potrebbe essere la soluzione ideale. Dato che tutti noi dobbiamo indossare una mascherina per proteggerci dal coronavirus, perché non sfruttarla per monitorare la nostra salute?
La mascherina-diagnostica è stata descritta sulla rivista Analytical Chemistry. Per verificarne il funzionamento, il gruppo di ricercatori ha chiesto ad alcuni volontari di indossare il dispositivo protettivo per due ore consecutive. Ebbene, dall’analisi delle particelle di areosol gli scienziati hanno potuto stabilire con esattezza cosa avessero mangiato i partecipanti, se avessero fumato o bevuto del caffè dimostrando così che il filtro inserito nella mascherina trattiene a sufficienza le sostanze contenute nel respiro. È altamente probabile quindi che quel tessuto speciale possa raccogliere particelle di altra natura che forniscono informazioni preziose non solo sullo stile di vita dei singoli individui ma sulle loro condizioni di salute.
E se le mascherine potessero anche curarci?
Presto potrebbe nascere una seconda generazione di mascherine capaci di prevenire il contagio ma anche di fare diagnosi. E successivamente, perché no, potrebbero venire ideate mascherine terapeutiche in grado anche di curarci. Qualcuno, c’è da scommetterci, ci sta già pensando.
© Riproduzione riservata