Dalle shopper riutilizzabili alle coppette mestruali, dalle calze ai contenitori dei cosmetici, la maggior parte dei prodotti ecologici hanno come target le donne.
Se poi pensiamo a chi si batte per la causa climatica, a chi fa attivismo, da Greta Thunberg a Jane Fonda, tanto per fare qualche esempio, le persone che ci vengono in mente sono principalmente donne. E non è un caso. Pare che le donne siano tendenzialmente più attente degli uomini alle problematiche ambientali.
Non è una congettura, ma l’esito di uno studio della società britannica di ricerche di mercato Mintel che ha anche dato anche un nome al fenomeno: eco gender gap. E non è una bella notizia.
Il report dimostra come vi sia un ampio divario di genere per quanto riguarda le scelte di acquisto: le donne che provano a consumare più eticamente sono il 71%, mentre gli uomini si fermano al 59%. Il gap non è certo sfuggito agli analisti e per conseguenza le campagne pubblicitarie e i prodotti di consumo green sono in gran parte orientati verso il pubblico femminile.
Nella ricerca emerge in maniera evidente la maggiore tendenza delle donne a essere altruiste ed empatiche, a mostrare un’etica di cura più forte e ad assumere una prospettiva orientata al futuro. Questa maggiore propensione verso gli altri e verso la cura si traduce in un impegno più forte e concreto verso la tutela dell’ambiente. Ma qual è il motivo di questo divario? Ci sono varie ragioni. In primo luogo, le donne sono più attente all’altro: statisticamente (e storicamente) si occupano della casa, della famiglia, degli anziani e dei bambini più degli uomini. Questo potrebbe portarle a rivolgere il loro lavoro di cura anche verso il Pianeta. Un altro dei fattori che si pensa influenzino questa disparità è il modo di guardare alla crisi climatica, che sia da un punto di vista economico, scientifico o sociale: il tema dei diritti è più caro al genere femminile.
Come spiega molto chiaramente il rapporto Women and Climate Change: Impact and Agency in Human Rights, Security, and Economic Development del Georgetown Institute for Women, Peace and Security, le donne nel mondo sono più vulnerabili ai problemi ambientali. La loro condizione di maggiore povertà (secondo le Nazioni Unite il 70% delle persone che vivono in condizione di povertà sono donne), minore mobilità (dovuta alle responsabilità familiari, ad esempio), lo scarso potere economico e decisionale e la mancanza di un’istruzione adeguata, le espone particolarmente ai disastri ambientali.
Ciò ha fatto sì che femminilità e cura per l’ambiente siano state collegate culturalmente e cognitivamente, tanto che un altro studio, pubblicato sulla rivista scientifica Sex Roles, ha evidenziato come molti uomini siano poco inclini a portare una borsa della spesa riutilizzabile (o a riutilizzare quella in plastica), oppure a mettere in pratica attività eco-compatibili, per la paura di essere percepiti come gay o effeminati.
Un dato che conferma quanto emerso in un articolo pubblicato dal Journal of Consumer Research, vale a dire che gli uomini sarebbero demotivati nell’adottare comportamenti ecologici e nel compiere scelte di consumo sostenibili per il timore di vedere compromessa la propria identità di genere.
Possiamo apprezzare l’interesse delle donne per l’ambiente, possiamo esserne orgogliose ma quando esiste un “gap” o un difetto di consapevolezza (quello maschile, per intenderci) c’è poco da festeggiare. L’eco gender gap è un bias – uno stereotipo – che riguarda i maschi ma che finisce per danneggiare tutti. Dunque, in questo campo, come in molti altri, smascherare gli stereotipi e combatterli è una pratica culturale, etica, politica e – ora sappiamo – anche green.
Ma qualcosa sta cambiando, soprattutto grazie alle giovani generazioni che hanno dimostrato di sapersi allineare in maniera compatta e senza alcun divario di genere nella lotta per la giustizia climatica. I cortei e i sit-in degli ultimi anni hanno riempito le strade e le piazze del mondo intero di ragazzi e di ragazze, dimostrando come il gap di genere, per le nuove generazioni, sia molto più sottile, quasi inesistente. E questa sì, è una buona notizia.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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