Sono responsabilità di tutti i team sanitari fuori e dentro gli ospedali. Sono un diritto per i pazienti con malattie terminali e anche per i bambini che si avviano ad averne di gravi e croniche. Eppure hanno ancora una diffusione limitata.
La legge n. 38 nel 15 marzo 2010 le definisce chiaramente. Le cure palliative sono “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. Sono interdisciplinari, poiché si occupano dell’aspetto non solo fisico del malato ma anche di quello psicosociale e spirituale, a cominciare dal controllo del dolore e degli altri sintomi. E sono rivolte anche ad assistere chi è vicino al malato, in forma di supporto e di sostegno.
Cure palliative: i numeri in Italia
In Italia si calcola che siano oltre 500mila l’anno i malati affetti da patologie inguaribili, per la gran parte oncologici ma non solo. La possibilità di accedere alle cure palliative, nonostante sia sancita dalla legge, è molto differente da regione a regione e comunque a oggi vede curati solo il 23% degli aventi bisogno. Ben lontane sono le percentuali di Paesi come la Gran Bretagna che si attesta al 78% e la Germania al 64%. Dati peraltro in decrescita a causa della pandemia, che ha causato un aumento dei pazienti e una diminuzione delle possibilità organizzative degli operatori, dal loro stesso numero ai trasporti, dai distanziamenti alle forniture dei farmaci di conforto.
Le cure palliative tra paziente, famiglia e comunità
«Tutti abbiamo diritto al miglior trattamento possibile, che ci aiuti ad avere la migliore qualità di vita possibile di fronte a una malattia incurabile», come afferma Giada Lonati, direttrice sociosanitaria di VIDAS, associazione che da 40 anni offre assistenza ai malati inguaribili. Un trattamento che proponga un approccio interdisciplinare e coinvolga il paziente, la famiglia e la comunità. E che dovrebbe essere disponibile in ospedale, in hospice, in apposite unità terapeutiche, nelle strutture residenziali oppure a casa. Sul territorio italiano è presente la RLCP, Rete locale di cure palliative, che se ne fa carico raccogliendo i dati dei pazienti e coordinando gli interventi nei diversi contesti.
Bisogni emotivi, psicologici, sociali e spirituali
Le cure palliative si concentrano sulla gestione dei sintomi del paziente, sulla discussione delle sue aspettative attraverso la pianificazione anticipata delle cure e l’articolazione degli obiettivi di cura e sul sostenerne le famiglie. Bisogni emotivi, psicologici, sociali e spirituali, che vanno affrontati da un approccio in équipe che coinvolga un medico, un infermiere, un assistente sociale e un operatore spirituale. Sarebbe anche opportuna una presa in carico che preceda la fase finale della vita, gli inglesi la chiamano early palliative care, che inizi quando la diagnosi viene emessa e quando le terapie in atto sono solo di rallentamento, anche in considerazione del fatto che i pazienti “devono” – dai tempi della legge n. 219 del 22 dicembre 2017 – dare il consenso informato alle cure.
La “regola delle 4 s”
La “regola delle 4 s” è il riferimento con cui gestirle. Ovvero bisogna tenere conto con attenzione di stuff (cose), staff (personale), space (spazi) e system (sistemi). Attrezzature e farmaci, preparazione e numero del pool di lavoro, le location in cui operare e l’informatica da utilizzare. Gli specialisti canadesi Amit Arya e James Downar hanno sottolineato la necessità di farsi carico di altri quattro fattori: sedation (i farmaci necessari nel caso non funzionino le cure di conforto), separation (agire per superare il distacco, in particolare con le videochiamate), communication (fornire informazioni sui decorsi da parte del caregiver che si occupa del malato e attrezzarsi per tenerlo sempre informato) ed equity (superare le diseguaglianze nel sistema sanitario). Questi ultimi tre fattori saranno meglio attivati con la digitalizzazione progressiva della sanità pubblica per la quale in Governo ha stanziato due miliardi nel PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Ripensare gli spazi, ripensare i ruoli
Le cure palliative di alta qualità, infatti, sono un diritto fondamentale per tutti. Parte essenziale di qualsiasi intervento sanitario, specie in momenti di epidemie virali che possono essere letali. Sono cure di cui possono avere necessità persino i bambini, che ne hanno bisogno anche per malattie non terminali, ma gravi ed evolutive, con tendenza a cronicizzarsi. Per loro servono spazi per i giochi e per la scolarità, per i loro genitori corsi di abilitazione al nuovo, drammatico ruolo, per i fratelli sostegno anche per non farli sentire in colpa per essere sani.
Ruolo delle cure palliative durante una pandemia
Nel documento Ruolo delle cure palliative durante una pandemia gli esperti della SICP, Società italiana di cure palliative, e della FCP, Federazione cure palliative, spiegano come la RLCP si sia adattata allo scenario dettato dal Covid-19, con una riorganizzazione delle visite domiciliari e l’attivazione di quelle in telemedicina, con un diverso contatto con i pazienti e una nuova sistemazione degli spazi usufruiti, anche per le numerose dimissioni di pazienti, che, seppure inguaribili, potevano essere seguiti a casa per fare spazio a reparti Covid.
Arya e Downar puntualizzano nei loro scritti: “uno dei nostri modi di dire preferiti è le cure palliative sono responsabilità di tutti. Una responsabilità collettiva dei team sanitari che lavorano in ospedale e fuori dall’ospedale”.
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