È possibile pensare alla costruzione di mondi possibili purché tutti ad ogni livello sentano l’impegno etico e professionale a cambiare le cose, ciascuno per la sua parte.
Non un mondo possibile, ma un mondo che potrebbe essere possibile.
Mi riferisco all’incendio dell’ospedale di Tivoli con i suoi morti, alle attese lunghissime nei pronto soccorso denunciate dai cittadini, alle ripetute dimostrazioni di scarsa attenzione verso gli anziani da parte dei servizi sanitari, ad ogni livello. Invece i vecchi, qualsiasi sia la loro età e la condizione di salute, avrebbero diritto (soggettivamente e oggettivamente) ad accedere a un sistema sanitario in grado di ridurne la sofferenza, di limitare la perdita di autosufficienza, rispettandone allo stesso tempo la dignità e la libertà. Perché questo “mondo possibile” è ancora così lontano da realizzarsi? Perché l’anziano ammalato non può essere trattato all’interno di un mondo che lo protegge, lo accompagna, si preoccupa di conservarne la serenità?
La gran parte delle risposte si sofferma sulla mancanza di finanziamenti sufficienti per fornire cure adeguate. Però mi sottraggo a questo luogo comune, che rimanda sempre ad altri la responsabilità di quanto non è fatto bene; il primo motivo del dissenso si fonda sul convincimento che sia tempo per gli operatori sanitari di assumere un pezzo di responsabilità personale per il malfunzionamento delle strutture; il secondo perché un’attenta analisi delle problematiche dei finanziamenti dimostrerebbe che vi è una montagna di soldi non spesi in vari settori della sanità (ignavia da parte della diade politica-burocrazia?).
È quindi possibile pensare alla costruzione di mondi possibili purché tutti, ad ogni livello, sentano l’impegno etico e professionale a cambiare le cose, ciascuno per la sua parte, andando avanti anche da solo, se necessario, per raggiungere un obiettivo (in molti casi l’attesa di un accordo allargato su metodi e obiettivi crea condizioni paralizzanti). Chi mi potrebbe dare una dignitosa giustificazione per il cumulo di immondizia accanto all’ospedale di Tivoli? Se il direttore generale dell’azienda avesse avuto un minimo di amore per il suo lavoro, avrebbe trovato il modo per rimuovere la montagna di sporco. Con un po’ di “amore” (mi riferisco al gusto di fare le cose bene, semplicemente, subito, senza necessariamente tirare in ballo le grandi motivazioni, pur importantissime, come il dovere di proteggere la vita dei cittadini!) avrebbe trovato il modo per risolvere il problema. Come faceva ogni mattina a passare accanto all’odore e alla vista delle immondizie senza sentirsi menomato nella sua personale dignità? E come faceva a dormire di notte sapendo che nell’ospedale il sistema antincendio non funzionava?
Se nessuno aveva queste attenzioni per la salute dei cittadini, è chiaro che si lascia andare avanti un mondo dove le possibilità di una vita buona per tutti erano ridotte.
Qualcuno potrebbe pensare che le mie considerazioni siano fuori dal mondo, perché il mondo non girerebbe nella direzione che ho cercato di delineare. Ma allora come possiamo pensare di costruire mondi possibili per i cittadini di ogni età? Sono, invece, convinto che, per quanto difficile da realizzare, sia possibile vivere in un mondo dove l’anziano è aiutato ad affrontare le difficoltà, cercando quando possibile di evitarle e di ridurne il danno alla qualità della sua vita o alla vita stessa.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
© Riproduzione riservata