Gli accumuli di placche di proteina beta-amiloide sono stati considerati per decenni le cause dell’Alzheimer, ma oggi questa ipotesi sembra perdere consistenza.
I farmaci utilizzati per aggredire queste placche, infatti, non riescono a migliorare i sintomi dei pazienti. Inoltre, bisogna considerare che alcune persone in età avanzata, pur presentando abbondanti accumuli di questo tipo, non sviluppano la malattia.
Il nuovo studio sulle cause dell’Alzheimer
Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, quando la proteina beta-amiloide si accumula e forma questi depositi, chiamati comunemente placche, perde la sua forma originale e la sua solubilità (la cosiddetta beta-amiloide 42) e proprio la riduzione di questa sua forma originaria concorrerebbe allo sviluppo della malattia. Diverse ricerche hanno dimostrato che i pazienti con i livelli più bassi di beta-amiloide 42 sono quelli che riportano i peggiori esiti clinici della malattia. Qual è dunque il fattore che più incide sullo sviluppo dell’Alzheimer? Il progredire delle placche o la riduzione della proteina?
Il fattore protettivo della proteina beta – amiloide 42
I ricercatori dell’Università di Cincinnati e del Karolinska Institute di Stoccolma hanno studiato un gruppo di pazienti che a causa di una mutazione genetica sono più predisposti alla formazione di placche e considerati più a rischio. Il campione è stato monitorato per tre anni e sottoposto a controlli periodici. Da qui è risultata una maggiore protezione a livello cognitivo in coloro che avevano livelli naturalmente più alti di beta-amiloide 42, indipendentemente dal numero di placche accumulate. I risultati hanno evidenziato il ruolo protettivo di questa proteina nella sua forma solubile. Si apre quindi la strada a nuove ipotesi di cura per contrastare l’Alzheimer, focalizzandosi sul mantenimento di un livello normale di beta – amiloide 42.
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