In Italia un nuovo progetto di musicoterapia si propone di contrastare il declino cognitivo con le melodie delle canzoni più amate nella giovinezza.
Nelle Rsa del gruppo San Raffaele da tempo si studiano gli effetti benefici dell’impiego della musicoterapia per la stimolazione cognitiva nelle persone affette da varie forme di demenza, tra cui l’Alzheimer. La musica ha sui malati un effetto rassicurante perché risveglia in loro sensazioni ed emozioni sopite. Allo stesso tempo il ritmo cadenzato degli incontri, spiegano i ricercatori, li aiuta ad entrare in una routine fatta di regole fisse e appuntamenti, molto importante per questa tipologia di pazienti. Inoltre, il fatto di ritrovare all’interno di questa routine l’ascolto musicale, li stimola a ricordare predisponendo la mente all’attenzione in un ambiente giocoso e positivo.
Non chiamatele canzonette
Per amplificare questo effetto, sul quale peraltro la ricerca scientifica sta ancora indagando, i laboratori del San Raffaele hanno scelto di riportare alla memoria dei pazienti le canzoni della loro giovinezza, legate a momenti particolari dell’esistenza. Ad ognuna di queste melodie si accompagna poi un’attività di carattere psicomotorio, così da risvegliare il rapporto tra mente e corpo, stimolando differenti forme di reattività. Il ricorso terapeutico alle canzoni della gioventù, inoltre, permette anche agli operatori della struttura di entrare nel vissuto più intimo degli ospiti, aiutandoli nella conoscenza della loro storia e del loro passato.
Se la musica si sostituisce al linguaggio verbale
Come per il Parkinson, l’ascolto musicale ha un effetto protettivo nei confronti dei processi neurodegenerativi. Secondo un recente studio della Northwestern University (USA), in collaborazione con l’Institute for Therapythrough the Arts (ITA), le emozioni prodotte dall’ascolto delle melodie più amate in gioventù resisterebbero sia all’Alzheimer, che alla demenza. Per dimostrarlo i ricercatori hanno coinvolto sia i pazienti che i loro caregiver, evidenziando come i primi siano in grado di connettersi con parenti ed amici proprio attraverso la musica, quando ormai ogni altro tipo di interconnessione è divenuto impossibile. Semplicemente cantando, ballando e suonando facili strumenti, pazienti e caregiver insieme hanno superato la barriera verbale creata dalla malattia. Un effetto amplificato dal ricorso a melodie conosciute e popolari (come, nello studio in questione, erano quelle di uno dei musical di Broadway più famosi, Oklahoma).
Le melodie del passato risvegliano le emozioni
“Dal 2001 la musica è utilizzata come tecnica non farmacologica per migliorare le funzioni cognitive e, in particolare, i disturbi comportamentali nei pazienti affetti da demenza”, spiega Paolo Maria Rossini, Responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele. “Infatti, nonostante il progressivo deterioramento cognitivo causato dalla malattia di Alzheimer e dalla demenza la persona conserva intatte certe abilità e competenze musicali fondamentali (intonazione, sincronia ritmica, senso della tonalità). Gli studi confermano che il malato di Alzheimer è in grado di ricordare le melodie e spesso anche il testo delle canzoni che gli hanno tenuto compagnia in gioventù”.
La Boheme e l’Alzheimer
La musica, col suo effetto maieutico, può quindi riportare a galla non solo i ricordi passati ma anche le sensazioni che vi sono legate. A questo proposito i ricercatori della Rsa San Raffaele di Trevignano citano il caso di una ex cantante lirica ospite della struttura di Trevignano che dopo alcuni incontri di ascolto musicale individuale è riuscita a cantare per circa 40 minuti interi brani tratti dalla Boheme, nonostante il suo grave deterioramento cognitivo. La passione verso le canzoni della giovinezza è riuscita a riattivare quella che era una passione sopita, stimolando emozioni e ricordi nello stesso tempo.
Il linguaggio musicale avvicina al cuore
A questo punto viene spontaneo domandarsi anche se la musica possa essere una via alternativa per comunicare con pazienti nei quali la memoria è precocemente danneggiata. Secondo il team del San Raffaele i circuiti cerebrali del linguaggio parlato e del linguaggio musicale sono in parte sovrapponibili, ma spesso, a fronte di un danno consistente del linguaggio parlato, quello musicale (e il canto) risultano meno danneggiati. Inoltre, sottolineano, così come i ricordi delle prime fasi della vita scompaiono per ultimi, anche i ricordi delle canzoni ascoltate o cantate in gioventù rimangono molto a lungo nella memoria. E i pazienti con Alzheimer conservano più facilmente i ricordi autobiografici che non quelli visivi (come le foto della loro gioventù). È noto poi il potere calmante della musica nei confronti dell’agitazione psico-motoria dei pazienti colpiti da demenza, fondamentale per far sì che gli operatori possano raggiungere i loro cuori.
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