Il lavoro è un’espressione importante del concetto di invecchiamento attivo. La Regione Piemonte stanzia 1 milione di euro per garantire il difficile reinserimento degli over 50 nel mercato dell’impiego.
“Cantieri di lavoro over 58” è una misura di politica attiva voluta dalla Regione Piemonte per inserire 156 disoccupati in 35 progetti sparsi sul territorio per favorire l’invecchiamento attivo e contribuire al conseguimento dei requisiti previdenziali così da raggiungere l’età pensionabile. Il progetto infatti è rivolto a coloro che hanno maturato un’anzianità contributiva non sufficiente per il pensionamento, o perché hanno perso il lavoro o perché non riescono a collocarsi. Risorse fragili, che saranno impiegate nel settore del turismo, nella manutenzione dell’ambiente o in servizi di rilevanza sociale, compresi i servizi alla persona. La quota stanziata dalla Regione (ben 1 milione di euro), copre i costi dell’indennità di cantiere che l’Inps verserà al neo lavoratore, che beneficerà anche dei buoni pasto e, in alcuni casi, anche di un rimborso spese sui mezzi pubblici per raggiungere il luogo di lavoro.
Dati occupazione over 50 in Italia
Sotto la spinta demografica e le politiche pensionistiche, in Italia aumentano i lavoratori over, in particolare tra i 55 e i 64 anni. Secondo l’Istat a luglio, l’unica fascia di età in aumento è stata quella degli over 50 con oltre 9 milioni di persone, corrispondente a quasi il 40% del totale degli occupati. Rispetto a luglio 2021, diminuisce in generale il numero di persone in cerca di lavoro (-13,3%, pari a -304mila unità) e il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-3,3%, pari a -433mila). Un dato rassicurante, inficiato dalla scarsità delle misure volte a favorirne la permanenza sul lavoro, la produttività e il benessere psico-fisico all’interno dell’azienda. D’altro canto garantire il prolungamento della vita lavorativa non è importante solo ai fini del benessere del singolo individuo, ma anche in funzione di un più equo ricambio intergenerazionale e di trasmissione delle conoscenze.
L’age management
Alle misure già in atto riguardanti i lavoratori maturi (tra cui l’introduzione nel 2017 del lavoro agile) è necessario affiancare nuove politiche per favorire l’age management, ossia quell’insieme di strategie aziendali utili a gestire il capitale umano, valorizzando e integrando le competenze degli over 50 con quelle dei lavoratori più giovani. Un mezzo necessario per favorire un corretto passaggio di consegne generazionale che preveda la riorganizzazione delle modalità di lavoro (e dello stesso ambiente lavorativo), nonché una formazione “permanente”. Uno strumento che tuttavia viene ancora scarsamente applicato, a partire alla Pubblica Amministrazione, dove a causa del blocco delle assunzioni l’età media del lavoratore è di 50,34 anni.
Ricollocamento sul mercato del lavoro, cosa dice la legge
Sono ancora scarsi gli interventi del legislatore in materia. L’articolo 4 della legge numero 92 del 2012 (riforma Fornero) per la prima volta in Italia riconosce un incentivo per le assunzioni di personale over 50 disoccupato da oltre dodici mesi. Lo Stato, infatti, riconosce la riduzione del 50 % dei contributi a carico del datore di lavoro per dodici mesi (diciotto se l’impiego è a tempo indeterminato). La legge di bilancio n. 178 del 2020, a sua volta, ribadisce il concetto ma limitandolo alle sole donne over 50 e solo per le assunzioni del biennio 2021/22. Anche le Regioni hanno sviluppato, seppure in modo disomogeneo, politiche del lavoro e incentivi alle assunzioni per i lavoratori over 50, delle quali il progetto piemontese è un chiaro esempio.
L’ultima barriera, l’ageismo sul lavoro
In sostanza nel nostro Paese sono ancora pochi gli strumenti per invogliare aziende e lavoratori anziani ad una più lunga permanenza nel mercato del lavoro. A ciò, nonostante il DLGS 216/03 vieti qualunque forma di ageismo, si aggiunge l’immagine del lavoratore anziano, considerato inutile o addirittura un peso. Uno stereotipo ancora difficile da superare. Un atteggiamento che pregiudica non solo il lavoratore stesso, che perde un’occasione di reinserimento, ma anche l’azienda, che rinuncia così al prezioso apporto di Capitale Umano offerto dai lavoratori maturi. Sia in termini di qualità che di trasmissione del sapere.
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