Secondo i dati Istat, dal 2000 al 2022 l’occupazione nel settore domestico è aumentata del 30,5%. Ma la crescente rilevanza sociale dei lavoratori che supportano le famiglie nella cura della casa e della persona non ha portato loro un riscontro adeguato in termini di politiche di supporto.
L’ultimo Rapporto Assindatcolf 2023 “Occupazione nel settore delle collaborazioni domestiche: caratteristiche, evoluzione e tendenze recenti” ha fotografato la situazione odierna attraverso i dati dell’Istat evidenziando i cambiamenti e l’insicurezza di un settore lavorativo fondamentale: quello di colf e badanti.
Secondo l’indagine solo il 44,2% degli occupati nel settore lavora 50 settimane l’anno. Quasi un quarto invece – il 23,2% – non supera le 20 settimane. Sul piano retributivo, il 26,5% degli occupati riceve meno di 3mila euro l’anno, e solo il 14,6% supera i 13mila euro nei 12 mesi.
Il lavoro irregolare
Purtroppo l’attività di collaborazione domestica costituisce il comparto con le più alte percentuali di occupazione irregolare, nonostante il dato sia diminuito negli ultimi anni. Nel 2020 il tasso di irregolarità stimato dall’Istat era del 51,7%, contro il 24,4% di quello agricolo, 23,1% di quello dell’intrattenimento e dello sport e il 15,3% del settore della ristorazione. Con la pandemia e la sanatoria dei collaboratori domestici, una quota compresa fra i 68mila e gli 88mila lavoratori sono stati regolarizzati, ma l’effetto, secondo Assindatcolf, rischia di essere temporaneo.
Chi sono i lavoratori domestici
I collaboratori familiari nel 2022 erano 894.299: di questi il 48% sono badanti e il 52% colf, baby sitter o persone che svolgono altre attività di supporto alle famiglie. La maggioranza dei collaboratori è rappresentata da donne (86,4%), di origine straniera (69,5%) e over 50 per il 55,6% dei casi.
Rispetto alla provenienza geografica, esiste una prevalenza di lavoratori italiani nelle attività di collaborazione domestica e baby sitting, mentre fra le/i badanti prevalgono i cittadini e soprattutto le cittadine originari di altri Paesi.
I primi Paesi di provenienza sono Romania, Ucraina, Moldavia e Albania che insieme costituiscono il 51% dei lavoratori del settore. Il 14% proviene dal Centro e Sud America e un altro 14% dai Paesi asiatici, eccetto le Filippine che da sole rappresentano il 10,6% dei collaboratori domestici. Arriva dall’Africa il 9,6%.
Differenze fra colf e baby sitter e badanti
Se solo il 16% di colf e baby sitter lavora più di 30 ore la settimana, il 56,9% della badanti ha un lavoro a tempo pieno, caratterizzato anche da una maggiore continuità. Il 36% delle badanti ha una retribuzione media annua superiore ai 10mila euro, il 20,8% oltre i 13mila, mentre il 23,4% tra i 6 mila e i 10mila.
Innalzamento dell’età media dei lavoratori
L’evoluzione del settore in questi anni ha riguardato anche l’innalzamento dell’età dei lavoratori: se i collaboratori con meno di 30 anni sono diminuiti del 55,5% e quelli fra i 30 e i 39 anni del 46,2%, è più che raddoppiato il numero degli over 60. Nel 2013 erano poco più di un terzo i lavoratori domestici che superavano la soglia dei cinquant’anni, mentre oggi sono il 52% del totale, e di questi il 19,1% ha più di sessant’anni.
L’influenza del carovita sul lavoro di cura e assistenza
Dai dati raccolti da Assindatcolf fra i propri associati, è emerso che nei primi sei mesi di quest’anno la spesa sostenuta dalle famiglie per i servizi domestici è cresciuta del 7,8%: la retribuzione di un/una colf è passata da 546 euro a 561, di un/una baby sitter da 747 a 859, mentre per i/le badanti si è passati da 1.146 a 1.224 euro. Per il 36,9% famiglie la spesa è diventata insostenibile.
“Restiamo convinti che per sostenere economicamente le famiglie, ma anche per porre un argine al lavoro sommerso occorra modificare la fiscalità – ha dichiarato Andrea Zini, presidente di Assindatcolf – con la totale deduzione del costo che i datori sostengono per colf, badanti e baby sitter. Rimane il fatto che una spesa irrinunciabile come quella per la non autosufficienza e per i bambini non tutti possono permettersela. È quindi fondamentale che a fianco della deducibilità fiscale si dia spazio a un assegno unico e che arrivi la Prestazione universale per la non autosufficienza”.
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