In una zona come quella della provincia di Bergamo, dove l’emergenza sanitaria ha colpito più duramente, le ripercussioni sul lavoro di cura e assistenza domestica alle persone non sono mancate, a causa dei decessi di molti anziani e della paura del contagio. Ma fra i lavoratori stranieri, in maggioranza nel settore, si spera nella sanatoria e nel ritorno alla normalità.
«Ho lavorato sette anni con la mia nonna: i primi cinque, quando era ancora autosufficiente, le piaceva uscire e ogni pomeriggio la portavo fuori a prendere il tè con le amiche, oppure a fare un giro nel parco. Negli ultimi tempi, invece, aveva bisogno di aiuto per tutto e non si usciva più».
Zurita ha 48 anni, è in Italia da quando ne aveva 41, e ha perso il lavoro a febbraio, quando la sua nonna – così la chiamava – è morta. L’emergenza Covid stava appena iniziando e non se ne capiva ancora bene la portata. Da allora è rimasta due mesi a casa e poi, grazie alle referenze acquisite con un impiego di così lunga durata, è riuscita a trovare un altro lavoro presso una signora di Borgo San Fermo, un paese in provincia di Bergamo. «Per fortuna la mia prima famiglia italiana mi ha aiutato a inserirmi di nuovo grazie alle sue conoscenze – racconta -, ormai ero di casa per loro e questa perdita è stata un duro colpo per tutti, non solo per il lavoro, ma per l’affetto che ormai ci legava».
Zurita è boliviana e, da quando è in Italia, ha sempre vissuto in provincia di Bergamo. Fa parte di quei tanti lavoratori domestici senza un contratto regolare e che, dunque, non hanno mai potuto rinnovare i documenti di soggiorno. Almeno sino a oggi. «Finalmente con questa sanatoria riuscirò a mettermi in regola – dice con il sorriso sulle labbra – e non solo, potrò finalmente dare il mio contributo a questo Paese che mi ha accolta, ma potrò anche tornare in Bolivia per Natale, se tutto andrà bene». Mamma di due figli rimasti a Cochabamba, non vede l’ora di riabbracciarli: «Avevano 11 e 18 anni quando sono partita e, da allora, li ho visti crescere a distanza, attraverso le videochiamate. Purtroppo non avevo altra scelta se volevo garantirgli un futuro; in questo modo ho permesso loro di studiare, perché solo con il lavoro del mio ex marito non avrebbero avuto le stesse possibilità».
Zurita ha presentato la domanda di sanatoria prevista nel Decreto Rilancio del 29 maggio scorso, per la regolarizzazione di alcuni cittadini stranieri finora occupati in nero in diversi settori, fra i quali la cura della persona. Per accedere alla procedura bisognava dimostrare di essere arrivati in Italia prima dell’emergenza Coronavirus e di non essersi allontanati dal Paese durante tutto il periodo successivo. «Abbiamo creato una rete fra amiche boliviane nella stessa condizione – racconta Zurita – per aiutarci nella raccolta di informazioni e documenti da presentare, in modo da rendere tutto più facile. I miei nuovi datori di lavoro mi hanno supportato con il costo della pratica ed ora, finalmente, potrò rivedere i miei figli e vivere serenamente la mia vita con tutte le carte in regola».
La provincia di Bergamo è luogo di adozione della più grande comunità boliviana residente in Italia, composta da almeno 13mila persone censite, oltre a coloro che nei primi anni Duemila arrivarono qui con il visto turistico senza poi riuscire, alla scadenza, ad ottenere un documento di soggiorno. La maggior parte di loro ha sempre lavorato nelle case, come aiuto domestico o assistenza agli anziani. E con il diffondersi del Covid-19 in una delle province più colpite d’Italia, le ripercussioni occupazionali non sono mancate. Già nel solo mese di marzo, lo sportello “Colf&Badanti” di Bergamo aveva rilevato un saldo negativo per il 30% tra aperture e chiusure di rapporti di lavoro, mentre nello stesso periodo del 2019 la situazione era stata nettamente diversa, con un 20% di contratti in più.
Adriana, anche lei originaria della Bolivia e in Italia da 14 anni, si è ritrovata con il contratto sospeso. Non licenziata, ma invitata a restare a casa sua durante il lockdown, in attesa che passasse l’emergenza. «Ora ho ripreso servizio – racconta -, ma per tre mesi sono stata ospite di mia nipote che vive qui a Bergamo da prima che arrivassi io, altrimenti non avrei saputo come pagarmi un affitto, ammesso che avrei trovato casa durante il blocco di tutte le attività».
Adriana non ha problemi di documenti, perché ha sempre lavorato con contratti regolari. «La paura è stata tanta – dice oggi – perché davvero si viveva nell’incertezza di non sapere quando sarebbe finita. E ora anche dalla Bolivia ci arrivano notizie poco rassicuranti sulla situazione sanitaria». Adriana ha quasi sessant’anni e, quando è arrivata in Italia, è riuscita ad inserirsi subito nel mondo del lavoro grazie alla missione Santa Rosa da Lima della Diocesi di Bergamo, che ha sempre seguito i cittadini latino-americani e ancora oggi è un polo di aggregazione importante per questa numerosa comunità che ogni domenica si ritrova a mezzogiorno per celebrare la messa in spagnolo nella chiesa di San Leonardo. «È stato grazie alla missione che ho trovato subito un impiego – racconta Adriana – perché, oltre alle lezioni di italiano, sono riuscita a frequentare un corso per diventare assistente domiciliare alla persona, e con quelle competenze è stato tutto più semplice».
«Abbiamo avuto paura che il fenomeno potesse dilagare ma in realtà è stato più contenuto del previsto – racconta don Mario Marossi, responsabile della Missione e con una lunga esperienza in Bolivia alle spalle -. Fortunatamente molte donne hanno mantenuto il lavoro domestico, anzi hanno trascorso il periodo di emergenza in casa con i loro assistiti».
A Lilian, invece, è andata così: arrivata in Italia dall’Equador quindici anni fa, aveva appena cambiato lavoro prima che scoppiasse la pandemia del Coronavirus. «Avevo cominciato da poco ad assistere una donna più giovane di me che soffre di disturbi del comportamento – racconta – e i suoi familiari mi hanno subito chiesto di restare con lei giorno e notte finché l’emergenza non fosse rientrata, proprio per evitare altri contatti con l’esterno. Sono contenta di aver mantenuto il mio lavoro, ma è stato tutt’altro che semplice inventarsi continuamente nuovi modi per far passare il tempo alla signora, soprattutto perché non comprendeva per quale motivo non potessimo andare fuori come prima». Lilian ha sempre lavorato come badante, e quando ha cominciato ricorda di aver avuto la fortuna di trovare una persona non solo autosufficiente, ma anche con una grande passione per le lingue, con la quale parlare lo spagnolo e sentirsi meno isolata.
Quando si parla di colf e badanti ci si riferisce comunemente alle lavoratrici donne, che difatti rappresentano la maggioranza. Ma nel settore dell’assistenza domestica e della persona lavorano anche gli uomini, sempre in maggioranza stranieri. Delib Singh ha sessant’anni, è originario del Punjab e vive a Bergamo da quasi vent’anni. Fa parte della comunità indiana Sikh, numerosa quasi più di quella boliviana, che ogni fine settimana si ritrova nel centro culturale e di preghiera di Cortenuova, il Gurdwara, uno dei più grandi d’Europa. Delib ha perso il lavoro perché è stato lui a contrarre il Covid. «Ho cominciato ad avere dei dolori al fianco e al petto – racconta – e dopo alcuni giorni è arrivata la diagnosi di polmonite. Sono rimasto in ospedale per una settimana e poi mi hanno dimesso. Dopo un mese mi hanno fatto il tampone che è risultato negativo, ho aspettato altri 14 giorni in isolamento a casa e poi speravo di rientrare al lavoro, ma non mi hanno più richiamato. Assistevo una famiglia di Milano, stavo da loro dal lunedì al venerdì e, nel fine settimana, rientravo qui a casa da mia moglie e dai miei figli. Dopo la mia malattia hanno avuto paura del contagio e mi hanno chiesto di non rientrare, non si sono fidati dei risultati dei miei esami clinici. E ora alla mia età sono di nuovo disoccupato». Da quando è arrivato in Italia ha cambiato spesso mestiere: «Ho fatto di tutto – ci dice ridendo -, dal giostraio con le macchine da scontro all’allevatore, dal contadino al guardiano degli animali del circo; poi avevo trovato questo impiego come collaboratore domestico e aiuto a questa coppia avanti con l’età, un lavoro meno faticoso rispetto ai campi o alle serate nelle feste di paese».
Colf e badanti: la situazione italiana
Il lavoro domestico in Italia è cresciuto negli ultimi anni soprattutto grazie all’apporto di lavoratori di origine straniera, che rappresentano oltre il 70% del totale (77% nel ruolo di assistenti familiari e 69% di collaboratori domestici). Tra le badanti, la componente dell’Est Europa è maggioritaria (73,6% del totale), seguita dall’America Latina (8,2%) e dal Nord Africa (4,5%); tra le colf, invece, la situazione è meno definita, anche se l’area di maggiore provenienza resta l’Europa dell’Est, ma con un’incidenza molto inferiore (47,1%), seguita dalle Filippine (18,0%), dall’Asia orientale (11,0%) e dal Sud America (10,4%). Il settore interessa principalmente, ma non esclusivamente, le donne. Secondo i dati Istat, colf e badanti sono impieghi che riguardano circa due milioni di lavoratori, ma solo il 41% di questi è regolarmente censito dall’Inps. Per la cura domiciliare alla persona, le famiglie spendono annualmente circa 7 miliardi di euro, ma tenendo conto del reddito da pensione dell’assistito, soltanto l’8,1% dei pensionati risulta potersi permettere un’assistenza domiciliare a tempo pieno. Il 50% dei pensionati, invece, può permettersi un sostegno per 5 ore settimanali e il 20% fino a 25 ore. Il volume delle rimesse inviate dai lavoratori domestici che si trovano in Italia è stimato in 1,4 miliardi di euro, ovvero il 23% del totale delle rimesse, che ammonta a circa 6,2 miliardi di euro: mediamente, i 632mila lavoratori domestici stranieri regolari versano circa 2mila euro pro capite.
Le regioni con il più alto numero di lavoratori domestici regolarmente assunti sono Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Toscana. Nel Lazio si registrano quasi 16 colf ogni mille abitanti, mentre la media nazionale del settore è di otto occupati. Considerando invece le badanti, il 37% del totale è impiegato fra Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, e a livello nazionale si rileva una media di 6 assistenti alla persona ogni 100 abitanti con almeno 75 anni di età. Le province del Centro-Nord con il numero più alto di badanti in rapporto alla popolazione anziana sono Siena, con 9,8 lavoratrici/lavoratori ogni 100 over 75, Firenze e Modena, con 9,2, e Bologna con 8,9. Nella provincia di Bergamo, in particolare, il numero delle badanti registrate dall’Inps ha superato, per la prima volta nel 2018, il dato registrato nel 2012 con 4.842 iscrizioni alla previdenza. Da un’analisi effettuata attraverso lo “Sportello lavoro Cisl” del luogo, è emerso come stia cambiando la situazione occupazionale e migratoria, soprattutto nelle comunità sudamericane: molte badanti provenienti dall’America Latina si sono ricongiunte con i loro familiari negli ultimi anni, con una conseguente minore disponibilità di tempo per un lavoro sulle 24 ore presso il domicilio dell’assistito.
Nel primo semestre del 2019, si sarebbero rese disponibili al lavoro di cura in convivenza 89 lavoratrici contro le 134 dello stesso periodo del 2018. Un altro aspetto importante è la difficoltà del ricambio generazionale, perché le badanti under 40 sono passate dalle 1.753 del 2009 alle 682 del 2018, mentre le over 50 sono rimaste stabili intorno alle tremila registrazioni.
Secondo le analisi della Fnp di Bergamo, gli assistenti familiari assunti con un contratto regolare sono poco più di 59mila, mentre gli irregolari ammontano quasi a 89mila, e la spesa delle famiglie per i collaboratori contrattualizzati si stima in 72 milioni e 630mila euro, a fronte di un totale per la regione Lombardia di 3,6 miliardi di euro, inclusi però anche i costi di ricovero nelle strutture assistenziali. Molto bassa, invece, la presenza di assistenti familiari nelle aree del Mezzogiorno: in Sicilia si registrano solo 2,4 assistenti alla persona ogni 100 over 75, con valori simili anche per Puglia e Basilicata. La minore presenza di badanti al Sud trova in parte una spiegazione nel minore tasso di occupazione femminile e dunque nella presenza di più donne inattive all’interno dei nuclei familiari che possano farsi carico del lavoro di cura. Per fare un esempio, come riportato nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Lavoro Domestico dell’Inps, a Siena il tasso di occupazione femminile è pari al 62% e la media di badanti è di 9,2 ogni 100 anziani, mentre a Siracusa è pari al 32,8%, con una media di 1,2 badanti ogni 100 persone con più di 75 anni di età.
Dato che il numero della popolazione anziana è destinato a crescere, e secondo le previsioni Istat sarà pari a 12 milioni nel 2055, anche i lavoratori e le lavoratrici della cura domestica dovranno aumentare di conseguenza, almeno del 70% in più rispetto ai numeri attuali. A livello europeo sono oltre due milioni gli occupati del settore, considerando solo i contrattualizzati, e l’80% di questo dato è concentrato in soli tre Paesi: Italia 35,2%, Spagna 29,8% e Francia 15%. Se si considerano anche gli impiegati che operano nei servizi residenziali si arriva a quasi 10 milioni. In generale, i Paesi mediterranei si caratterizzano per avere, rispetto alla media Ue, una maggiore presenza di lavoratori nelle famiglie rispetto a quelli assunti nelle residenze e nei centri di assistenza.
La situazione opposta si registra invece in Germania, Belgio, Olanda, Regno Unito e Finlandia. A livello mondiale, il lavoro domestico è definito e tutelato dalla Convenzione n.189, adottata dalla Conferenza dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro il 16 giugno del 2011. Tale Convenzione riconosce i diritti fondamentali di organizzazione e mobilitazione a sostegno della promozione di migliori condizioni di lavoro e di vita per gli occupati del settore, indipendentemente dal fatto che il Paese in cui lavorano abbia o meno ratificato il documento, e sancisce il riconoscimento di contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio, l’abolizione del lavoro minorile, la rimozione delle discriminazioni e la protezione contro ogni forma di abuso, molestia e violenza. E infine promuove condizioni eque e dignitose.
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