Mettiamo il caso di essere prossimi alla pensione, ma di ritrovarci costretti a rimanere in azienda per una sopravvenuta e improvvisa riforma delle pensioni. Una situazione già sperimentata da molti aspiranti pensionati nel 2012, le cui reazioni non solo si possono immaginare, ma ormai si conoscono.
Quali potrebbero essere invece le reazioni dell’azienda? Quali le ripercussioni sui risultati economici, sulla produttività e sulle nuove assunzioni? Le risposte sono arrivate da una analisi che Bankitalia ha condotto esaminando i dati di oltre 1.000 imprese nell’arco di 4 anni, dal 2010 al 2014. Dunque due anni prima e due anni dopo la riforma delle pensioni targata Monti-Fornero.
I lavoratori senior non sono un ostacolo all’assunzione di altri dipendenti
Dallo studio è emerso che il lavoratore senior non è un peso né dal punto di vista dei costi aziendali né rispetto ai risultati economici e produttivi conseguiti. Soprattutto, non è un “ostacolo” per l’assunzione di giovani o di lavoratori di altre fasce di età. Il che dimostra, come già emerso da diversi studi internazionali e ampiamente sostenuto nel volume La popolazione anziana e il lavoro: un futuro da costruire di 50&Più e Fondazione Leonardo, come le competenze degli anziani e dei giovani siano complementari e che prepensionare un lavoratore anziano, per far posto ai giovani, sia un automatismo che non trova riscontro nel mondo reale.
Competenze non facilmente sostituibili
Lo studio di Bankitalia, Invecchiamento dei lavoratori, riforme pensionistiche e risultati d’impresa, ha valutato gli effetti generati su imprese e lavoratori dall’innalzamento dell’età minima di pensionamento introdotto dalla Riforma Monti-Fornero a dicembre 2011. Secondo l’analisi proprio le imprese più colpite dalla riforma, hanno aumentato il numero di addetti in ogni classe di età.
La conclusione: «Un aumento del 10% dei lavoratori anziani implica un aumento dell’occupazione dei lavoratori giovani e di mezza età rispettivamente dell’1,8% e dell’1,3%». Questi risultati «sono attribuibili all’esistenza di complementarietà tra lavoratori di età diversa e suggeriscono che i lavoratori maturi sono dotati di competenze specifiche non facilmente sostituibili», come ormai suggerisce anche un’ampia letteratura sull’accumulo di competenze nell’economia del lavoro.
Le assunzioni nelle altre fasce di età
Pertanto, la variazione occupazionale al rialzo degli over 55 non ha frenato le nuove assunzioni. Per la fascia di età più giovane compresa tra i 15-34 anni sono prevalsi assunzioni con contratti a tempo determinato, mentre per la fascia intermedia 35-54 anni, i contratti sono soprattutto a tempo indeterminato.
Riguardo poi ai salari dei dipendenti più anziani, l’impatto sulla busta paga di questi lavoratori è stato nullo o lievemente negativo.
I senior non sono un peso per le aziende
Una maggiore quota di lavoratori maturi, dunque, non rappresenta un onere in più per le aziende. Visto che il costo del lavoro totale e il valore aggiunto sono cresciuti in linea con l’incremento dell’occupazione. Lo studio dimostra inequivocabilmente che le aziende, almeno nel breve termine, sono in grado di assorbire una quota cospicua di lavoratori anziani e, al contempo, assumere nuova forza lavoro.
Un’analisi che dovrebbe far riflettere quando si toccano le pensioni, un cantiere in Italia sempre aperto. Piuttosto, come afferma Carlo Sangalli, presidente nazionale di 50&Più, «occorre un patto generazionale che ridisegni le politiche del lavoro con soluzioni più flessibili e graduali per i lavoratori senior e maggiormente inclusive e stabili per i giovani utilizzando la leva degli incentivi e della riduzione del costo del lavoro».
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