La notizia di per sé è già di quelle che non si leggono tutti i giorni: a settantadue anni compiuti, si laurea in Scienze storiche. Ma ciò che c’è dietro, forse, stupisce ancor di più.
Questa è la storia di Rosanna Brescia, una neolaureata dell’Università La Sapienza di Roma, il cui racconto parte da un quartiere periferico della Capitale: Casalbertone. È lì che conosce Tommaso Lanciano che, all’epoca, è praticamente appena nato.
Oggi, noi li incontriamo seduti l’uno accanto all’altra, entrambi davanti al monitor di un computer: lui di anni ne ha 26, è dottorando in Data Science e lei che, appunto, di anni ne ha 72 e ha appena concluso gli studi con soddisfazione con un ottimo 105. Se facciamo la loro conoscenza, è grazie a Tommaso che, sapendo della storia di Rosanna, ha voluto che la rettrice ne fosse al corrente.
Così, qualche tempo fa, le ha scritto. «Volevo – ci racconta Tommaso – che la storia di Rosanna non passasse sottotraccia e, anzi, mi sembrava giusto che fosse riconosciuto il suo sforzo. Così ho mandato una mail alla rettrice de La Sapienza – Antonella Polimeni – la quale mi ha risposto appena dieci minuti dopo averle scritto».
Sì, perché al di là del merito di una laurea in età abbastanza avanzata, la storia di Rosanna è una di quelle testimonianze belle, per tante ragioni. «Io sono di Foggia – ci dice lei – e quando ero ragazza, l’università nella mia città non c’era. I miei, all’epoca, non mi permisero di studiare fuori e perciò non potei andare all’università». Ma questo è solo l’inizio.
Una volta divenuta adulta, Rosanna, infatti, diventa madre: una maternità indubbiamente complessa. «Ho perso mia figlia quando aveva quattordici anni e da allora ho deciso di lanciare una sfida alla vita».
Nella nostra lunga conversazione ci racconta che la bambina è nata con la distrofia muscolare – la malattia di Werdnig-Hoffmann – e aggiunge: «Non abbiamo potuto avere altri figli perché siamo portatori sani di questa malattia. Allora, non volendomi lasciare sopraffare dalle avversità della vita, ho fatto il concorso magistrale e ho iniziato a fare la maestra».
Una strada bellissima, non senza ostacoli. «Facevo la supplente: un giorno di qua, un giorno di là, ma vi giuro che, al mattino, vivevo con la speranza che squillasse il telefono e arrivasse la chiamata per una supplenza. Insomma, a quarantaquattro anni, ho iniziato come facevano le giovani maestre di venti».
In questo 2021, a quasi trent’anni di distanza da quei giorni, consegue una laurea che è sempre emblema dell’amore verso questa figlia che purtroppo ha perduto. «Io non avevo potuto fare l’università ma sognavo che mia figlia la potesse frequentare. Perciò, a un certo punto, mi son detta: “Perché non iniziare un percorso in suo nome, come se lo facesse lei?”. E così, in maniera quasi furtiva, mi sono iscritta – perché mio marito pensava che sarebbe stato troppo faticoso “per una persona di una certa età”. Ma a me la definizione “certa età” non va per niente a genio e, infatti, eccomi qui».
Qui, laureata, di fronte a noi, col bagaglio di una storia tutta da raccontare. Ma facciamo un passo indietro.
«L’incontro con Tommaso – continua Rosanna – è avvenuto che lui era nella culla. Io l’ho seguito nel suo percorso di vita, crescita, da bambino che andava a scuola, da adolescente e, mentre lui portava avanti i suoi studi, io mi sono iscritta all’università». Ed è qui che ci parla della famiglia di questo ragazzo: «Sono persone molto care, lui, il fratello, la mamma e il papà: siamo vicini di casa e intimi amici. Hanno sempre sostenuto me e mio marito. Anni in cui Tommaso evidentemente immagazzinava tutto ciò che accadeva, anche perché probabilmente gli suscitava curiosità il fatto che così adulta andassi ancora a studiare».
Il giorno della laurea, Rossana racconta di essere stata molto tesa: «Pur avendo studiato tutto con attenzione, si ha sempre la paura di non riuscire a dire tutto. L’emozione gioca brutti scherzi». Ma è arrivata in ateneo forte anche delle sue “colonne”: «C’era mio marito, la mamma di Tommaso e il papà. Le restrizioni legate al Covid imponevano una presenza massima di tre persone e io ho voluto che ci fossero loro alla mia discussione di laurea».
Un riconoscimento che la famiglia di Tommaso si è davvero guadagnata non facendo mai mancare sostegno a Rosanna. «Io dico sempre che sono stata fortunata ad avere queste persone vicino. Nulla viene a caso. So che se busso a quella porta, mi viene aperta. E so come non sia facile essere nostri amici: assistere mia madre che ha completamente bisogno di me, non mi permette di uscire: sono anni che non mangiamo una pizza fuori. Però, magari, recupero cucinando qualcosa a casa e portandogliela per un assaggio».
La mamma di Rosanna ha 96 anni e dipende completamente da lei. «Ogni tanto riprendo la tesi come se la dovessi ripassare, perché a lungo lo studio è stato la mia ancora di salvezza: nei momenti difficili sapere di dover dare un esame mi dava la carica. Ed ora questo comincia a mancarmi».
La curiosità? Il marito (con lei, nella foto a destra), dapprima scettico sugli studi di Rosanna, si è dovuto ricredere e, forse, al momento della discussione della tesi di laurea, era proprio il più emozionato. Ma il suo cambio di vedute è avvenuto già molto prima. Rosanna racconta infatti che l’ha sempre accompagnata in ateneo e che frequentare le aule universitarie è stata una sferzata di energia per entrambi.
«Ogni volta che vedevo quei ragazzi all’università – dice lei – immaginavo mia figlia girare per le aule e pensavo: “lo faccio io per te”. Mi piaceva sognarla serena anche perché “ci parlo”, con dolore nel mio cuore, ma senza rammarico e con la serenità che mi ha dato averla avuta per figlia».
«Ecco perché volevo che la storia di Rossana fosse conosciuta – ci dice Tommaso -, perché è una testimonianza preziosa soprattutto per chi è giovane come me».
«Con Tommaso – ci spiega lei – c’è un feeling particolare. Io mi sento sostenuta perché un giovane ha un potenziale incredibile. Sento di prendere carica da lui, mentre lui dice di prenderla da me. È un avvicendarsi. Quando c’è affetto, l’età anagrafica non conta».
Ed è grazie a questo affetto se abbiamo potuto scoprire la storia di Rosanna: una donna coraggiosa che non ha smesso di avere sogni nel cassetto. Sogni per il futuro che, anche qui, la accomunano con ogni ventenne. È per questo che a lei, come a Tommaso, domandiamo cosa ci sia nel loro rispettivo futuro, certi che entrambi portino con loro valige cariche di progetti.
Tommaso ci dice che sta concludendo il dottorato e che non sa se continuerà nella realtà accademica o nel mondo del lavoro esterno. «Però – assicura – sono motivato e certo che verranno fuori opportunità». Non da meno i sogni e le aspettative di Rosanna che già sa cosa vorrà fare nel prossimo futuro.
«Non nego che potrei riprendere in mano i libri. Vorrei intraprendere studi sulla Storia delle religioni. Ma ho anche un altro desiderio: scrivere un libro». E continua a ricordare la figlia: «Pur avendo problemi di natura bronchiale, non avendo mai camminato, lei era serena. E questo essere serena ha saputo trasmetterlo agli altri – ci dice -. Vorrei scrivere un libro: la mia storia, dalla nascita di mia figlia. Non un libro triste, un libro che dia un messaggio di vita, di speranza, un messaggio d’amore. La realtà con la mia bambina è stata dura, dolorosissima, non sto qui a dirvi le sensazioni che si provano quando muore un figlio… Ma in questa casa è circolato anche tanto amore. Ho utilizzato un metodo Doman per la riabilitazione: sono venute trentacinque volontarie ad assisterla. Tutte donne che ci hanno aiutato senza chiedere in cambio nulla, e dopo che la loro presenza era diventata ormai purtroppo non più necessaria, ci hanno detto: “Noi non abbiamo dato, abbiamo ricevuto. Abbiamo ricevuto da questa bambina e da te un messaggio prezioso che ci porteremo dentro e ci accompagnerà per tutta la vita”».
Si ritiene una donna fortunata, Rosanna. «Nella vita ho potuto essere mamma, poteva anche non capitarmi mai. Certo, è stato solo per quattordici anni ma li ho vissuti intensamente, come se lei fosse la bambina più normale, tranquilla e in salute di tutte. E quando la guardavano in carrozzina, anche una volta grande, io mi dicevo: la guardano perché è bella non perché è in carrozzina. Se dopo la sua scomparsa mi fossi arresa, sarebbe stato come deludere mia figlia. Non avrei apprezzato il messaggio di amore e di vita che mi ha dato».
E in questo preciso momento, Rosanna si gode anche la serenità del momento. «Ho sempre considerato l’insegnamento una missione perché è importante lasciare un’impronta, non sulla sabbia ma sull’argilla, perché così rimane. Spero tanto di esserci riuscita. Di certo, in questi giorni, i miei alunni che hanno letto di questa laurea, mi hanno riempita di affetto e, tramite messaggi, mi hanno addirittura mandato le foto dei lavoretti fatti insieme. Non so dirvi che grande emozione sia stata!».
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