Simone Weil in uno dei suoi scritti afferma che l’attenzione è un passo necessario per essere generosi verso gli altri. Io mi permetto di allargare l’indicazione della grande studiosa, per affermare che l’attenzione è la prima espressione di generosità verso gli altri e anche verso se stessi. L’attenzione è da molti punti di vista atteggiamento necessario per vivere bene, per rendere “possibili”, e quindi sereni, gli anni che ciascuno ha il dono di percorrere anche quando ha già superato una certa soglia.
Premetto che la scelta di essere attenti a ciò che ci circonda è possibile solo a chi conserva una buona funzione cognitiva e non soffre per una rilevante limitazione del tono dell’umore. Le mie considerazioni riguardano quindi le persone che non soffrono per queste problematiche cliniche, cioè tutti quelli che cercano di indirizzare la loro strada quando inizia la vecchiaia. Anche questo evento però varia da persona a persona e non sarebbe serio dare indicazioni quantitative valide per donne e uomini con storie diverse sul piano delle attività svolte, della condizione di vita, della salute.
Come dice Simone Weil, prestare attenzione è di per sé una dichiarazione di generosità; la persona interessata è disponibile ad ascoltare, a parlare, a guardare con occhi attenti e critici, cioè “vedendo”, e quindi interpretando quello che avviene intorno. Con questo atteggiamento dimostra a se stesso in primis che la vita dell’altro è motivo di attenzione, come primo passo per azioni concrete di collegamento. L’attenzione porta a conoscere l’altro; è quindi il punto di partenza per ogni atto di cura (intesa come presa in carico delle sue esigenze, non necessariamente legate alla salute). L’attenzione ha alcune caratteristiche ad essa correlate, che seguono in particolare l’atteggiamento di generosità: è l’inizio di una curiosità stabile verso l’altro, di un atteggiamento delicato nella relazione, di una cortesia che caratterizza ogni atto. Invece chi è disattento incentra su se stesso ogni pensiero, diventa sordo e cieco, mette l’egoismo al centro di ogni interesse e così la vita perde di significato.
L’attenzione attiva tutti i sensi; esercita una funzione di allenamento sulla vista, sull’udito, sugli altri sensi, sulle funzioni cerebrali, in particolare sulla percezione dell’ambiente. Chi è attento è in una posizione di attivazione senza sosta delle sue caratteristiche psicofisiche; ciò esercita un effetto di grandissima importanza, perché secondo molti studi rallenta il decadimento complessivo e in particolare quello delle funzioni cognitive. Mentre chi si chiude è distratto, “dove guarda non vede”, è destinato ad una decadenza progressiva, di fatto ad una rilevante accelerazione dei processi di invecchiamento. Quindi l’attenzione costruisce una parte rilevante del ben vivere negli “anni possibili”.
Ovviamente vi devono essere alcune condizioni ambientali perché ciò possa avvenire; in particolare la solitudine è nemica dell’attenzione, perché pone la persona nella situazione di non aver nulla su cui soffermare lo sguardo, il pensiero. Di fatto, quindi, quando si afferma che la solitudine impedisce un invecchiamento in salute si dimostra che ciò avviene per la mancanza di luoghi, ambienti, persone sulle quali soffermare l’attenzione, per averne una risposta significativa. La solitudine è, di conseguenza, anche un impedimento ad atti di generosità, ai quali molte persone sarebbero potenzialmente aperte. La donna e l’uomo soli sono drammaticamente ripiegati su loro stessi, trasformando la vita nell’osservazione attenta e senza respiro di come possono sopravvivere.
Un’altra condizione che impedisce l’attenzione all’ambiente e agli altri è la sofferenza somatica. Quando una persona sta male non riesce ad allontanare il proprio interesse dalle forme del suo dolore e dalla ricerca di possibili risposte cliniche, farmacologiche o no. È molto difficile che una persona affetta da malattia acuta o cronica possa avere una libertà interiore così forte da cancellare il pensiero dalla propria sofferenza. Se il dolore fisico, come può accadere, è vissuto in solitudine, tutto tende ancor più a peggiorare verso la chiusura, che spesso confina con la disperazione… il dolore senza lenimento umano è esperienza faticosissima da sopportare, che talora induce anche a pensieri autodistruttivi. Il dolore fisico chiude le porte all’attenzione verso gli altri e l’ambiente.
In sintesi, l’attenzione è un atteggiamento del cuore e del cervello da coltivare, anche superando ovvie difficoltà; nessuno infatti è mai troppo vecchio per non essere attratto da ciò che avviene intorno a noi, rispondendo con attenzione e dedizione.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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