Ogni anno, in Italia, scompaiono migliaia di minori, adulti e anziani in stato confusionale. Nel 2002, per aiutare le ricerche, supportare i parenti e fornire sostegno legale e psicologico è nata Penelope. Annalisa Loconsole Vicepresidente nazionale, ne racconta il lavoro
Il 1° settembre del 2004, a Mazzara del Vallo, Denise Pipitone scompare mentre si trova nei pressi della casa della nonna materna. Sono trascorsi 19 anni da quel giorno e mentre scriviamo queste righe di lei non si hanno ancora notizie. Angela, Salvatore, Alessandro: anche di loro, come di altre migliaia di persone, si sono perse le tracce. Nei primi quattro mesi del 2023 sono scomparsi circa seimila bambini (5.908, per l’esattezza)e ne sono stati ritrovati solo 2.423. Ad occuparsi di loro, spesso, è Penelope, l’Associazione delle Famiglie e degli Amici delle Persone scomparse. Ne abbiamo parlato con Annalisa Loconsole, Vicepresidente nazionale.
Quando e com’è nata Associazione Penelope?
Penelope è nata nel dicembre del 2002, quando diverse famiglie di persone scomparse si sono ritrovate a Potenza invitate da Gildo Claps, fratello di Elisa Claps, minorenne scomparsa e ritrovata dopo 17 anni nel sottotetto della chiesa della SS. Trinità nella medesima città. Lì hanno dato vita a Penelope per condividere l’esperienza della scomparsa di un congiunto e cercare, attraverso il mutuo aiuto, la forza di sopravvivere e far sentire la propria voce. Gli obiettivi principali sono volti a cambiare il sentire dell’opinione pubblica e a farsi portavoce presso le Istituzioni per proporre leggi che possano modificare l’approccio delle forze dell’ordine e dei sindaci rispetto alle denunce di scomparsa presentate dalle famiglie. L’ulteriore obiettivo è quello di supportare altre famiglie nel doloroso percorso di scomparsa di un proprio caro.
Cosa succede quando viene denunciata la scomparsa di qualcuno?
L’approccio con la denuncia di scomparsa è progressivamente cambiato dal 2002. All’epoca alla denuncia di scomparsa non c’era un seguito con le ricerche a meno che non si trattasse di bambini molto piccoli. Ci sono voluti anni di colloqui, di convegni, di fiaccolate, di raccolte di firme, prima di approdare nel 2007 alla nomina di un Commissario straordinario per le persone scomparse presso il Ministero dell’Interno. Poi, nel novembre 2012, è stata approvata la Legge 203 che in un unico articolo compendia tutto ciò che è oggi a disposizione. La famiglia deve denunciare la scomparsa alle forze dell’ordine, le quali attivano immediatamente le ricerche ed informano il Prefetto che, in base alla tipologia di scomparsa, attiva il piano provinciale per la ricerca delle persone scomparse, coinvolgendo le Istituzioni locali, altre forze dell’ordine e la Protezione Civile. Allo stesso tempo viene informata la magistratura. A questo punto le ricerche proseguono in forma massiccia per una settimana o dieci giorni, poi si fermano e resta alla famiglia cercare altri indizi e/o segnalazioni affinché possa essere riconvocato il tavolo tecnico per gli approfondimenti del caso ed una eventuale ripresa delle ricerche.
Perché sono così importanti le 48 ore successive alla scomparsa?
Sono ore importanti perché le tracce lasciate sono ancora fresche, sia che si tratti di una scomparsa volontaria che di una scomparsa di persone con patologie neuropsichiatriche e/o degenerative. Ma anche in caso di reato con occultamento di cadavere. Inoltre, possono essere utilizzate le telecamere di sorveglianza di esercizi commerciali e/o delle forze dell’ordine per il controllo del territorio prima che il tempo cancelli le immagini immagazzinate.
Molte delle persone scomparse sono giovani under 18. Quali potrebbero essere le cause di questo fenomeno?
Il numero dei minori scomparsi è di gran lunga superiore a quello degli adulti. Il motivo è da riscontrare sicuramente in una vita sociale più attiva, che spesso li espone a pericoli imprevisti ed imprevedibili. Ad esempio, l’utilizzo sempre maggiore dei social, lo spirito di emulazione, la fragilità legata all’età, ma anche il cambiamento di tutto il contesto sociale. Il numero maggiore di minori scomparsi è rappresentato dai MSNA (minori stranieri non accompagnati) su cui c’è molta attenzione. Tanti fuggono dalle comunità per i più svariati motivi, compreso quello di trovare fortuna anziché restare all’interno di strutture con regole percepite come stringenti da chi ha affrontato viaggi della speranza. Perciò, pur senza risorse, iniziano la loro avventura di vagabondi nel nostro Paese. Il dramma di questi scomparsi è che in Italia e in Europa non hanno familiari a cercarli, a fare appelli per loro e quindi, a parte qualche caso di volontario rientro in struttura o di ritrovamento, se ne perdono completamente le tracce. Tra l’altro, esiste anche il rischio che possano essere reclutati dalla malavita per spaccio o sfruttamento della prostituzione. Invisibili tra gli invisibili. Dalle strutture fuggono spesso anche ragazzi italiani lì collocati dai servizi sociali per disagio mentale, familiare o perché dipendenti dall’abuso di alcol e/o sostanze stupefacenti o per percorsi di recupero penitenziario.
Com’è il vostro rapporto con le famiglie delle persone scomparse?
La scomparsa, comunque, può riguardare qualunque fascia della popolazione. Il fatto che Penelope sia sul territorio da vent’anni e che disponga di professionisti di alto livello che collaborano a vario titolo (psicologi e/o psichiatri forensi, criminologi, biologi, informatici, medici forensi, avvocati penalisti e civilisti) le attribuisce credibilità. Mentre la presenza dei familiari che vivono o hanno vissuto l’esperienza della scomparsa consente l’avvicinamento dell’Associazione ad altre famiglie quando non sono le stesse famiglie a contattarci. La condivisione di un percorso verso l’ignoto, se accompagnato dal sostegno di chi lo ha già vissuto, consente di trovare la forza di andare avanti e alimentare la speranza giorno per giorno. Un sentimento che deve restare sempre vivo per non scivolare nella disperazione. Il compito fondamentale di Penelope è quello di fornire tutte le notizie e dare le direttive di comportamento alle famiglie in modo che i propri cari vengano cercati. Al tempo stesso i diversi protocolli d’intesa siglati con le associazioni di Protezione Civile consentono di proseguire le ricerche quando queste si fermano senza esito. Quando passa troppo tempo senza un ritrovamento la famiglia viene invitata a rilasciare il proprio profilo biologico per un’eventuale comparazione con i cadaveri non identificati.
Cosa accade quando viene ritrovato un corpo senza vita e non identificato?
Quando viene ritrovato un cadavere non identificato o resti cadaverici, le famiglie si attivano per acquisire più notizie possibili, così come lo fa l’Associazione per poter fornire dettagli ai medici legali o ai magistrati. Nel frattempo, le forze dell’ordine rivedono tutte le denunce di scomparsa e quanto riportato nella scheda RISC (ricerca scomparsi). Se a questo punto non ci sono riscontri viene prelevato il DNA dal cadavere e il magistrato può disporre la sepoltura – purtroppo di persona ignota – oppure il corpo viene conservato negli Istituti di medicina legale. Il DNA prelevato dovrebbe alimentare la banca dati, divenuta operativa per le persone scomparse e per cadaveri senza nome o resti cadaverici solo nel 2017. In questo modo si potrebbe fare una comparazione tra le salme e gli scomparsi, ma manca ancora la circolarità delle notizie tra Istituti di medicina legale, Magistratura, ANCI e Ministero dell’Interno. A tal proposito Penelope e l’Ufficio del Commissario si stanno attivando perché gli anelli deboli della catena di comunicazione si collochino ognuno al proprio posto. Infine, esiste un registro nazionale pubblico dei cadaveri non identificati aggiornato dall’Ufficio del Commissario per le persone scomparse, a cui giungono tutte le denunce dalle Prefetture.
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