Ormai da dieci anni il 19 agosto si festeggia la Giornata mondiale della fotografia. Una ricorrenza istituita per ricordare come in una foto si possano rivivere emozioni e momenti importanti, come quelli fissati negli scatti di Angelo Jordan Cozzi
Era il 19 agosto del 1837 quando, a Parigi, il mondo veniva a conoscenza di una delle invenzioni più incredibili degli ultimi secoli. Dalle mani e dalle menti di Joseph Nicèphore Nièpce e Louis Daguerre, infatti, era appena nato il primo macchinario di dagherrotipia, procedimento che molti anni più tardi avrebbe portato allo sviluppo delle odierne fotografie. Quello strano apparecchio era in grado di catturare la realtà circostante e di imprimerla su una lastra di rame, producendo un cimelio prezioso che doveva essere racchiuso sottovetro per non deteriorarsi con il tempo. Ed è proprio la sfida contro il tempo che rende le fotografie così preziose. Se prima del digitale, infatti, potevamo godere degli scatti quando ormai erano un ricordo del passato, oggi la fotografia è in grado di raccontarci il presente diventando un modo per guardarsi dall’esterno. Lo è soprattutto per i più giovani, appassionati di selfie e di social, che condividono molti dei loro momenti con il mondo virtuale. Ed è proprio un giovane lombardo di ventisei anni a dedicare la propria passione per la fotografia al mondo della terza età. Il suo nome è Angelo Jordan Cozzi e dal 2014 viaggia tra strutture residenziali, case di riposo e abitazioni private per immortalare il presente degli anziani che incontra.
Angelo, cosa spinge un ragazzo così giovane ad avvicinarsi al mondo della terza età?
È iniziato tutto per caso. Mentre frequentavo il liceo artistico ho preso parte a un progetto organizzato da una delle mie professoresse. Io e qualche mio coetaneo andavamo ogni mercoledì pomeriggio in una struttura residenziale della mia zona e passavamo il tempo con gli ospiti per quasi un’ora e mezza. Ci sedevamo in cerchio e ascoltavamo la storia della loro vita. In quell’occasione ho conosciuto una coppia che mi ha colpito particolarmente. Mi sono subito innamorato dei loro sguardi e del modo in cui raccontavano i primi momenti passati insieme, la vita trascorsa da quel momento e soprattutto la scelta di trasferirsi in casa di riposo. Non avevo mai conosciuto una coppia che decidesse liberamente di passare la propria vecchiaia in una struttura residenziale.
Da quella esperienza è nato il progetto Truelove (Vero Amore)?
Sì, dopo quell’esperienza mi sono trasferito a Firenze per studiare, ma non ho mai smesso di pensare a quella coppia. Una volta tornato a Milano ho deciso di mettermi in contatto con altre strutture della zona per sapere se ci fossero storie simili anche altrove. Ho trovato alcune coppie che desideravano farsi fotografare e che volevano raccontare la loro storia. Così è nato Truelove, il progetto in cui ho scattato foto sia a coppie che abitano a casa propria che a quelle che vivono all’interno di strutture. L’obiettivo era capire perché coniugi o conviventi ancora autonomi decidessero di trasferirsi in casa di riposo. Si potrebbe pensare che sia una scelta obbligata e vissuta con tristezza, ma in certi casi è tutt’altro. Alcuni dei soggetti che ho fotografato hanno preso questa decisione per vivere in una comunità, per godere di momenti di condivisione e avere la sicurezza di poter contare su un’assistenza continua.
Ha sviluppato molti progetti all’interno di strutture residenziali?
Oltre a Truelove, anche Ritratti di Natale, Le donne della San Martino e Generazioni sono progetti nati e cresciuti in case di riposo. L’obiettivo dei miei lavori è quello di far vivere un’esperienza positiva agli ospiti, un momento di svago che possa farli stare bene anche in modo educativo. Ad esempio, nel progetto Le donne della San Martino abbiamo voluto valorizzare la bellezza delle donne che vivono in casa di riposo. Nella struttura, infatti, era attivo un servizio di parrucchiere e le signore erano particolarmente attente alle proprie acconciature e al proprio aspetto. In quel servizio ci sono molte donne sorridenti, felici di mostrare la propria femminilità.
Sorrisi che si ritrovano anche in Generazioni…
Quel progetto è nato in occasione della Festa dei nonni, in collaborazione con una scolaresca del luogo. I bambini sono arrivati in casa di riposo e si sono esibiti cantando alcune canzoni e regalando una pergamena con un pensierino ad ogni ospite. È stato davvero commovente: molti ospiti si sono emozionati e anch’io. In particolare, c’era una bambina che qualche tempo prima aveva perso la nonna proprio in quella casa di riposo e desiderava essere immortalata con ogni ospite come ricordo. In quell’occasione ho scattato anche molte polaroid da regalare ai parenti sia dei bambini che degli anziani.
Pensa di continuare il suo lavoro con gli anziani?
Lavorare con i senior per me è stato, ed è tuttora, molto formativo. Voglio continuare a collaborare con loro, a raccontarli. Proprio nel corso di questi miei progetti ho potuto assaporare i valori di una generazione diversa dalla mia. I valori della condivisione, dell’ascolto. Sto imparando a conoscere le differenze tra le generazioni, ma anche le tante similitudini. Ad esempio, durante l’emergenza che ci ha colpiti quest’anno credo che tutti, indipendentemente dal-l’età, abbiano rivalutato l’importanza della comunità, della famiglia, della condivisione. Secondo me gli anziani sono più consapevoli da questo punto di vista. Ma lo erano anche prima del lockdown.
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