Non dovrebbe esistere un giorno come il 25 novembre. Non dovrebbe essere necessario istituire una giornata internazionale dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne, semplicemente perché questa violenza non dovrebbe essere messa in atto. Purtroppo, però, questa ricorrenza si dimostra ancora attuale e imprescindibile. Un’occasione per parlare di abusi fisici e psicologici, ma anche di quella violenza di genere può essere di tipo economico. Una delle forme più subdole di violenza domestica. Per questo il Museo del Risparmio di Torino offre, durante tutto l’anno, numerosi programmi di educazione finanziaria alle donne e a tutti coloro che combattono per questa causa.
Che cos’è la violenza economica
Come si riconosce e si manifesta la violenza economica? Attraverso una serie di atteggiamenti di controllo e monitoraggio che limitano la libertà e sottraggono risorse economiche della donna. Quando, ad esempio, il partner non vuole che la sua compagna lavori e le controlla in modo ossessivo le spese. O, ancora, quando dispone dei soldi che la compagna, la madre, la figlia o la sorella ha guadagnato e risparmiato. I numeri purtroppo parlano chiaro come testimonia il rapporto D.i.Re basato sui dati raccolti nei centri antiviolenza. Secondo i dati, il 33% delle donne che chiede aiuto è senza reddito e meno del 40% ha un reddito sicuro. Questa mancanza di autonomia economica genera un rapporto di sudditanza, che frena la vittima a prendere ogni tipo di iniziativa e che culmina, spesso, in violenza psicologica prima e fisica poi. Chi ricorre ai centri di accoglienza nel 77% dei casi ha subito violenza psicologica, nel 60% violenza fisica e il 33% delle volte violenza economica. Purtroppo, però, si tratta di dati parziali poiché solo il 27% delle donne vittime di abusi denuncia e i dati reali potrebbero rivelarsi ancora più alti.
Il mercato del lavoro: uno dei vettori della violenza economica
Il tasso di inattività femminile, in Italia, è intorno al 45% da anni e la differenza occupazionale rispetto ai maschi si attesta, all’incirca, sui 18 punti percentuali. Una situazione che sembra più complicata al sud dove tra le giovani donne con figli solo il 22% lavora. Una dato da confrontare con l’intera popolazione italiana composta per il 51% da donne che rappresentano solo il 42% degli occupati. La scarsa partecipazione al mercato del lavoro e la mancanza di autonomia, quindi, espone le donne al rischio di cadere vittima di violenza. Ma ci sono anche gli aspetti culturali in ballo. Quegli stessi aspetti culturali che spingono anche le laureate a stare a casa ad occuparsi della famiglia, dei figli e della casa. Eppure, è stato dimostrato che quando gli uomini vengono coinvolti nei lavori di cura questo generi conseguenze positive sull’occupazione femminile e anche sul tasso di fertilità.
Un’arma potente: l’educazione finanziaria
Comprendere l’importanza dell’autonomia economica e del lavoro, quindi, è necessario per condurre una vita davvero libera. Nel corso degli ultimi 5 anni, il Museo del Risparmio di Torino ha condotto alcune indagini sul rapporto tra mondo femminile e denaro. I dati che emergono sono allarmanti: il 60% delle donne delegata volontariamente la gestione economica al partner, mentre il restante 40% gestisce da sola unicamente le spese quotidiane. Allo stesso tempo, per quanto riguarda la ripartizione dei compiti in casa l’80% delle donne si occupa da sola delle faccende domestiche, mentre il 70% degli uomini si fa carico in modo esclusivo delle incombenze fuori casa. Inoltre, nel 70% dei casi, entrambi i sessi considerano questa ripartizione dei compiti non problematica. In vista della giornata contro la violenza sulle donne il Museo del Risparmio ha organizzato, in collaborazione con gli Stati Generali delle Donne e CUG Inps, un ciclo di incontro dal titolo “NON PIÙ VITTIME – imparare a riconoscere le diverse forme di violenza di genere” con un focus dedicato alla violenza economica.
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