Stop a forchette, posate, cannucce, bastoncini cotonati e ad ogni altro oggetto monouso in plastica. Da luglio l’Italia, come gli altri stati membri dell’Unione, applicherà la nuova direttiva alla base della strategia “plastic free” voluta dalla Commissione europea.
Dal 3 luglio prossimo l’Italia renderà operativa la direttiva europea Sup (Single Use Plastcs), nota anche come “Salvamare”.
Il provvedimento risale al 2019 e ha un duplice obiettivo: salvaguardare la salute umana e l’ambiente marino, ponendo un freno ad una situazione sempre più preoccupante.
Un mare di plastica
Dai dati del WWF risulta, infatti, che, in particolare le coste del Mediterraneo (che è un bacino chiuso), raccolgano l’80% dei rifiuti di plastica. Come dire che per ogni chilometro di litorale se ne accumulano oltre 5 kg al giorno. L’inquinamento peggiore è però quello invisibile: la microplastica. Il Mare Nostrum ha soltanto l’1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina.
Il declino dell’usa e getta
L’usa e getta, nato con il primato della comodità, è divenuto di fatto una presenza indistruttibile dei nostri mari. Dei 396 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno, solo poco più del 20% viene riciclato o distrutto. Uccelli, mammiferi e tartarughe sono vittime dei rifiuti di questo materiale scaricato negli Oceani. Una situazione che ha portato Bruxelles a condividere un grido di allarme.
Secondo la Commissione europea, infatti, oltre l’80% dei rifiuti marini è costituito da plastica. «La riduzione della plastica monouso aiuta a proteggere la salute delle persone e del pianeta. Le norme dell’Unione sono una pietra miliare nell’affrontare i rifiuti marini». Così commenta il vice presidente della Commissione per il Green Deal, Frans Timmermans.
Secondo Timmermans le norme “stimolano anche il business sostenibile verso un’economia circolare in cui il riutilizzo precede il monouso”. Questo è infatti il vero significato del Green Deal europeo: proteggere e ripristinare l’ambiente naturale stimolando le imprese a innovare.
Le plastiche più inquinanti
Da luglio, dunque, spariranno dai punti vendita i prodotti di plastica più inquinanti, come tazze, posate, piatti, bicchieri, cannucce e aste per palloncini, che dovranno essere fabbricati con materiali sostenibili. Ma anche molti prodotti per l’igiene personale, come bastoncini per le orecchie, assorbenti e salviette umidificate. E poi tamponi e guanti in plastica. A meno che non siano prodotti in materiale lavabile e riutilizzabile.
La direttiva Sup specifica esplicitamente che nel suo campo di applicazione rientrano anche i prodotti monouso composti anche solo in parte di plastica. Tazze o contenitori per alimenti, ad esempio. Quando questi vengono gettati via, infatti, la carta si degrada rapidamente, ma la parte di plastica può rimanere nell’ambiente per molti anni.
Il nodo della plastica “biodegradabile”
Il divieto riguarda anche gli utensili in plastica oxo-biodegradabile. Come quella impiegata nel packaging dei ristoranti per l’asporto. Considerata finora come una “plastica sostenibile”, risulta altrettanto dannosa poiché non si decompone ma si divide in microparticelle che si spargono per l’ambiente. Attualmente, infatti, non esistono standard condivisi per certificare che un prodotto sia correttamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente.
“Chi inquina paga”
Per alcuni prodotti, come le salviette umidificanti e gli attrezzi da pesca, sono state prese altre misure. Prima fra tutti la compartecipazione dei produttori ai costi di pulizia e riciclaggio, poiché “sono proprio loro a creare il problema a monte coi loro metodi di produzione”. Viene dunque applicato il principio del “chi inquina paga”, ossia della responsabilità piena del produttore per i danni all’ambiente e alla salute.
Una questione delicata
Resta ancora un punto da considerare. La plastica inquina ma dà anche lavoro. Solo in Italia gli addetti al settore del packaging sono 20.000. Questo potrebbe avere come conseguenza una rilettura seppur parziale della direttiva. L’Unione sta infatti valutando un nuovo criterio per tentare di combinare due interessi che al momento paiono inconciliabili. Ossia la salvaguardare della salute e del posto di lavoro.
Si tratterebbe di mettere a punto un criterio di calcolo basato sulla quantità reale di plastica contenuta nei prodotti “misti”. È il caso – ad esempio – dei contenitori per alimenti di carta, rivestiti da una sottile pellicola di plastica per renderli impermeabili. E che per questo sono al momento “banditi”. In pratica, se la parte di plastica impiegata viene giudicata poco pesante, il prodotto può ricevere il via libera per il mercato.
Tempo al tempo
Ridurre la plastica del 30% entro il 2030. Questo è l’obiettivo, ambizioso, della direttiva europea “Salvamare”. Non sarà però una transizione veloce e indolore. Il settore si sta adeguando ed è pronto a sostituire i materiali più inquinanti, ma sarà comunque, inevitabilmente, una questione di costi e di tempo.
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