Con Istat scopriamo la storia demografica del Paese per comprendere le trasformazioni della popolazione italiana negli ultimi 2 secoli.
Istat ha appena lanciato “Storia demografica dell’Italia dall’unità ad oggi”, una web publishing accessibile a tutti, che rilegge la trasformazione del Paese dal 1861 ad oggi attraverso i cambiamenti demografici. Tra il 1861, anno della proclamazione dell’Unità d’Italia, e il 2022 la popolazione del nostro Paese è quasi triplicata dalle annessioni successive territoriali del Triveneto dall’impero austro-ungarico e dello Stato Pontificio. In questo lungo periodo è cambiato non solo il numero dei cittadini, ma anche le loro caratteristiche e i loro comportamenti.
Un’analisi attenta dell’evoluzione della società italiana
Grazie alla serie di dati e di indicatori ricostruiti a partire dalle statistiche storiche pubblicate dall’Istituto di statistica, è ora possibile fare un passo indietro alla ricerca di temi come ambiente e energia, lavoro, famiglia, giustizia, sanità e popolazione. Quest’ultima in particolare è osservabile attraverso le diverse statistiche demografiche: censimenti, nati, morti, movimenti migratori e matrimoni. Voci che hanno consentito di ricostruire il quadro dei mutamenti della società italiana nel tempo.
Alcuni dati significativi della trasformazione demografica
La storia demografica dell’Italia è contenuta già in alcune semplici cifre. Dal 1861 gli italiani sono passati da 26 a 59 milioni (anche se dal 2014 i residenti sono diminuiti di oltre 1 milione). Sempre nello stesso periodo gli over 65 – che in passato rappresentavano il 4,2% della popolazione – sono oggi arrivati all’essere il 23,8%. Mentre, contemporaneamente i giovani sotto i 15 anni sono diminuiti dal 34,2 al 12,7%. In particolare queste tendenze mostrano (e confermano) le conseguenze di due fenomeni in atto da tempo: l’allungamento della vita e la contrazione della natalità.
All’Italia di oggi il record europeo dell’età mediana
In percentuale si può osservare che la crescita demografica dal 1861 ad oggi è pari al 125%. Un arco di tempo lunghissimo entro il quale l’età mediana (quella che ripartisce la popolazione secondo l’età in due gruppi ugualmente numerosi) è salita da circa 24 anni nel 1861 a poco meno di 30 anni nel 1950, fino ad oltre i 47 di oggi (la più elevata tra i Paesi dell’Ue). Al momento dell’Unità nell’Italia rurale il tasso di natalità è intorno al 40‰ annuo e quello di mortalità superiore al 30‰. Nel decennio 1861-1870 oltre un terzo della popolazione ha meno di 15 anni, ma la mortalità nel primo anno di vita rappresenta poco meno della metà dei decessi totali e quasi quattro bambini su dieci non raggiungono il quinto anno d’età.
Il saldo negativo dell’emigrazione
A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento l’emigrazione controbilancia l’aumento dei tassi di crescita naturale: nel biennio 1912-13 si ha un saldo migratorio netto negativo di oltre 750 mila persone (il 2% circa della popolazione residente). Gli emigranti, che negli anni post-unitari partivano soprattutto da Piemonte, Lombardia e Veneto, dall’ultimo ventennio dell’Ottocento (e ancora di più nel secolo scorso) in maggioranza provengono dalle regioni del Mezzogiorno.
Scoppia il baby boom
Dopo il calo fisiologico della popolazione dovuto all’impatto delle due guerre (inframmezzato dalle politiche di incremento demografico che il Regime persegue con provvedimenti quali la tassa sul celibato e il rientro degli immigrati) la mortalità inizia a scendere. Un fenomeno che caratterizza la storia demografica italiana è il cosiddetto baby boom, frutto di un ottimismo diffuso (con un picco nel 1964) che registra oltre un milione di nati e 2,7 figli medi per donna (oggi 1,25).
La transazione demografica
La storia demografica del Paese degli ultimi 160 anni si conclude con un’inversione di rotta. Negli anni ’70 e ’80 diminuiscono le emigrazioni e aumenta il grado di benessere al quale si associa la diminuzione della natalità. Il compimento della transazione demografica si legge attraverso le tabelle che riportano i dati relativi all’invecchiamento della popolazione e alla diminuzione dell’indice di fecondità. Alla fine degli anni ’90 aumenta il numero dei lavoratori anziani e diminuisce quello dei più giovani, mentre l’età media – fino al 1952 di 32 anni – sale a 46,2 agli inizi del 2022, facendo dell’Italia uno dei paesi al mondo con la quota di anziani più elevata insieme a Germania, Spagna e Giappone.
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