Non si tratta “solo” di una dolorosa condizione esistenziale. Gli effetti negativi sulla salute psicofisica vengono confermati da autorevoli studi
“Il non avere nessuno da chiamare quando si è in difficoltà” ha pesanti conseguenze sulla vita della persona a tutte le età, in particolare nella vecchiaia. È la solitudine, drammatica e dolorosa condizione di vita. Numerosi dati in ambito epidemiologico sostengono che la solitudine è associata con una riduzione della durata della vita simile a quella provocata dal fumare 15 sigarette al giorno e superiore a quella associata con l’obesità. Un importante lavoro recente insiste: “Isolamento sociale e salute: l’effetto tossico della solitudine”. Queste drastiche indicazioni indicano lo sviluppo avvenuto in questi anni degli studi e l’effetto che questi (in ambito epidemiologico, biologico e clinico) avrebbero dovuto avere sulla coscienza diffusa di molte persone. Ma l’affermazione soprariportata evidentemente non è stata sufficiente, se recentemente altri autori hanno dovuto ripetere: “La solitudine uccide”. La solitudine fa vivere la persona anziana in un inferno che ha conseguenze sulla salute spesso drammatiche, molto più gravi di quanto si ritiene se le si attribuisce solo un peso sul piano psicologico, come è stato fatto fino al recente passato.
Le persone sole si curano poco di se stesse, perché sostengono sia inutile qualsiasi tentativo di migliorare la propria condizione; questo atteggiamento può essere la conseguenza di uno stato depressivo conclamato, ma è anche legato ad uno stile di vita scostante, chiuso, polarizzato su se stessi, senza desideri e speranze di cambiamento. Nessuno si occuperà di indurre chi è solo a sottomettersi a controlli clinici e il singolo non sentirà alcuna spinta in tal senso. I sintomi che possono comparire vengono inglobati in una visione negativa della vita, per cui i soli non attivano l’attenzione degli altri, né si impegnano ad esaminare gli eventuali segnali negativi con gli strumenti della medicina.
La solitudine è tra le cause più frequenti e incisive di perdita della salute, svolgendo la sua azione in maniera differenziata nelle diverse età e circostanze della vita. È importante conoscere le tappe di questo percorso patologico, per meglio impostare azioni preventive sul singolo e sulla collettività o di riduzione del danno, dedicando attenzione a come mettere in atto meccanismi protettivi. Bisogna peraltro essere consci che si tratta sempre di interventi complessi e delicati, perché possano avere efficacia; infatti, la profondità dell’azione negativa richiede spesso risposte di lungo termine e di grande difficoltà umana. Il punto centrale consiste nel ricostruire la connessione tra corpo e mente, perché l’azione della solitudine si sviluppa sul confine delicato tra le percezioni somatiche, indotte dall’essere soli, e gli effetti che queste hanno sul cervello, che, a sua volta, induce reazioni che si riflettono a livello somatico.
Un ruolo importante rispetto ad una presa di coscienza sui danni della solitudine rivestono i dati secondo i quali è associata con i meccanismi che portano alla demenza. È quindi necessario alleviarla, per motivi ovvi, se è un fattore di rischio per la comparsa di demenza, ma per motivi altrettanto seri se invece fosse un segnale precoce, perché il lenimento della solitudine (se possibile) eviterebbe l’isolamento dell’ammalato e quindi il rischio di una diminuita attenzione verso di lui da parte del sistema sanitario e della famiglia. Potrebbe sembrare eccessivo collegare la solitudine con la mortalità; infatti, fino alla pubblicazione dei dati più recenti, frutto di studi longitudinali, non era chiaro quanto fosse pervasiva la relazione, anche dopo la correzione per fattori quali l’età, il sesso, il livello di povertà, ecc. Oggi il fenomeno nel suo complesso non è più messo in discussione, ma si studiano in modo analitico le varie condizioni che mediano l’influenza della solitudine sulla durata stessa della vita. Secondo altri studi, gli anziani con più alti livelli di solitudine sono quasi due volte più esposti alla possibilità di morire prematuramente rispetto a quelli con i livelli più bassi. Il processo si accompagna nel tempo ad una riduzione della qualità della vita e dell’autonomia personale, fino alla comparsa di gravi malattie.
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