Se ne sente parlare, soprattutto, quando si accende il dibattito sul “fine vita”. La Sclerosi Laterale Amiotrofica, nota con l’acronimo SLA, è una malattia neurodegenerativa cronica rara dagli esiti progressivamente invalidanti – paralisi prima muscolare e poi delle funzioni vitali – e ad alta complessità assistenziale. Tanto più con la pandemia che stiamo vivendo.
In Italia i malati sono oltre 6mila e più di 400mila nel mondo. «Ma si tratta di stime – ci dice il neurologo Mario Sabatelli (nella foto, a sinistra), direttore clinico dell’area adulti al Centro Clinico Nemo (Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma) -. Per avere un quadro epidemiologico più chiaro l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA) ha avviato il primo Registro nazionale sulla malattia che raccoglie i dati anagrafici e clinici dei pazienti italiani. È uno strumento molto importante – ribadisce il professor Sabatelli che presiede altresì della commissione medico scientifica dell’Associazione – anche perché mette a disposizione della comunità scientifica dati preziosi che possono favorire la definizione e l’avvio di nuovi trial clinici».
La malattia esordisce generalmente verso i cinquant’anni. Quali i segnali di allarme?
La malattia colpisce i motoneuroni, le cellule nervose che collegano la corteccia cerebrale ai muscoli. I primi sintomi sono quindi caratterizzati dalla debolezza di determinati muscoli, inizialmente in maniera molto localizzata: difficoltà a muovere una o entrambe le gambe, a sollevare un braccio o un impaccio nell’uso delle mani (abbottonarsi, girare una chiave). Oppure può iniziare con una importante modificazione della voce per interessamento dei muscoli della lingua o della gola. Il peggioramento costante nel tempo dei deficit in assenza di cause apparenti è un indizio che deve far sospettare una SLA.
È difficile porre la diagnosi?
Non esiste un esame specifico che permette di diagnosticare con certezza la SLA e questo può creare incertezze in alcuni casi. È una diagnosi cosiddetta di esclusione: bisogna esaminare ed escludere quelle malattie che possono somigliare molto alla SLA come una forma particolare di miosite, rare malattie infiammatorie dei nervi motori, o una rara malattia genetica dei motoneuroni chiamata Sindrome di Kennedy. Per la diagnosi rimane fondamentale un’attenta valutazione clinica da parte di neurologi esperti.
Quali le cure disponibili e le aspettative di vita?
Purtroppo è disponibile un solo farmaco, il Riluzolo, che però rallenta di poco il decorso. Le aspettative di vita per chi ha la SLA dipendono dalla rapidità di evoluzione della malattia e dalla tempistica della compromissione dei muscoli respiratori. Entrambi i fattori variano moltissimo da persona a persona. Gli interventi oggi disponibili per sostenere il respiro possono modificare molto qualità e durata di vita.
La SLA rimane una malattia dalle cause ancora ignote. Sul fronte della ricerca ci sono novità?
Se è vero che in questi anni la ricerca non ci ha ancora consentito di scoprire una terapia efficace è altrettanto vero che la conoscenza sulle cause della malattia è cresciuta notevolmente. Per anni abbiamo studiato i fattori ambientali (sport, esposizione a tossici, etc.), ma questo ha prodotto solo ipotesi peraltro poco utili per trovare terapie. Al contrario è sicuro che in almeno il 20-30% dei casi la malattia sia causata errori nel nostro “libro delle ricette”, il Dna, dove è scritto come devono essere costruite e funzionare tutte le cellule. È verosimile che i fattori genetici abbiano un ruolo fondamentale, anche se ancora non sappiamo se è così per tutti i casi. Attenzione, questo non significa che la malattia sia ereditaria, solo in una minoranza di casi (5-10%) vi è una familiarità. La ricerca sui fattori genetici, causali o predisponenti la malattia, sta invece consentendo di acquisire informazioni concrete che pongono basi razionali per la individuazione di nuove terapie. Lo confermano i risultati positivi – pubblicati di recente – ottenuti con un farmaco che blocca la sintesi della proteina SOD1 resa tossica dalla mutazione nel gene che la codifica, presente nel 2-3% degli ammalati. Le difficoltà sono ancora tante ma appare molto probabile che ci troviamo finalmente dinanzi a una svolta storica.
Sotto il profilo assistenziale cosa si dovrebbe ancora fare, secondo lei, per garantire un adeguato e concreto aiuto ai malati costretti all’immobilità e alle loro famiglie?
Anche se la Sclerosi Laterale Amiotrofica ha effetti fisici, psicologici, economici e sociali devastanti, vi è un margine per limitare questa forza d’urto. È necessario intervenire sul piano economico supportando le famiglie con un aumento del Fondo per la Non Autosufficienza (FNA). C’è soprattutto urgenza di una nuova cultura sulla medicina palliativa, che vada oltre i paradigmi, oramai desueti, di una medicina collegata al fine vita o alla patologia oncologica. Infine, va eliminata la diseguaglianza dell’assistenza sanitaria che esiste tra le diverse Regioni.
Ricordiamo il successo di alcune iniziative, promosse dall’AISLA, quali la Giornata nazionale sulla SLA e i progetti “Operazione Sollievo” e “Quattro ruote e una carrozza”.
Ad oggi, grazie all’Operazione Sollievo sono stati destinati alle famiglie dei pazienti 650mila euro. Inoltre l’AISLA è impegnata, sin dal 2010, per garantire alle persone con SLA trasporti gratuiti con mezzi attrezzati di proprietà dell’Associazione o a noleggio. Solo nel 2019 sono stati complessivamente più di 800 i trasporti effettuati in tutta Italia. Con “Quattro ruote e una carrozza” si raccolgono fondi per ampliare ulteriormente il servizio. Questo progetto ha vinto il bando #DONAFUTURO 2020, campagna nazionale di raccolta fondi che l’Istituto Italiano della Donazione porta avanti in occasione del “Giorno del Dono” che ricorre il 4 ottobre di ogni anno.
Infine, professor Sabatelli, verrà un giorno in cui potremo sconfiggere la SLA?
Mi piace ripetere che, se non avessi questa convinzione, avrei da tempo cambiato mestiere.
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