La conferma arriva dal report dell’Agenas sul personale del Servizio Sanitario Nazionale. Se in generale il numero dei medici appare congruo, non lo è quello degli infermieri e dei medici di base. Due professioni che però sono “gli assi portanti” di qualsiasi operazione di potenziamento della sanità territoriale.
Fra le sfide che il nuovo governo dovrà affrontare, c’è sicuramente quella della definitiva realizzazione della nuova sanità territoriale e di prossimità disegnata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un obiettivo che non può essere mancato ma neppure procrastinato. Le più recenti stime dell’Istat segnalano infatti che nel 2050 più di un italiano su tre sarà over 65 (il 34,9% a fronte del 23,5% registrato nel 2021). Fra la popolazione con più di 65 anni, la percentuale di persone che soffrono di malattie croniche o assumono regolarmente farmaci è già superiore al 70% (rispettivamente 74,6% e 74,1% nel 2021 considerando la sola fascia di età 65-74 anni).
Il tema della nuova sanità territoriale si incrocia con una delle questioni irrisolte del Servizio Sanitario Nazionale: l’effettiva disponibilità di personale. Basteranno medici ed infermieri a garantire un’assistenza ambiziosa, estremamente articolata, disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7?
L’ Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) vede il bicchiere mezzo pieno. In un recente Rapporto sul personale del SSN, dal confronto con le medie degli altri paesi UE, certifica infatti che il personale sanitario italiano, rapportato alla popolazione, è caratterizzato da un numero complessivo di medici “congruo”, ma da un numero di infermieri “insufficiente”. Inoltre, sul fronte del personale medico, non tutte le specializzazioni sono presenti in modo adeguato. Pesa infatti anche la carenza dei medici di base che, insieme agli infermieri, per l’Agenas sono gli “assi portanti” di qualsiasi operazione di potenziamento della sanità di prossimità.
I numeri dell’Agenas
Nel 2020 il personale dipendente del SSN ammontava a 617.466 unità, in netta prevalenza lavoratrici (il 68,7% a fronte del 31,3% di lavoratori). Rispetto al 2019, il personale è aumentato di 13.610 unità, ovvero il 2,3% del totale. Sono i calcoli dell’Agenas, elaborati sulla base di dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Conto annuale – 2020), del Ministero della Salute, di Istat ed Eurostat (2019-2021) e su rilevazioni OCSE (2020).
Il personale sanitario rappresenta il 72,3% delle professioni del SSN, seguito dal 17,8% di ruoli tecnici, dal 9,7% di ruoli amministrativi e da un restante 0,2% di altri ruoli professionali.
Per quanto concerne le professioni sanitarie, gli infermieri rappresentano il 59,3% del totale (264.686 unità), seguiti da medici e odontoiatri (23,1%, pari a 103.092 unità). Il restante 17,6% è rappresentato da altre figure professionali sanitarie: altro personale laureato; dirigenti delle professioni sanitarie; personale tecnico – sanitario; personale con funzioni riabilitative; personale di vigilanza-ispezione.
In Italia 6,2 infermieri per 1.000 abitanti contro una media UE di 8,8
In rapporto alla popolazione e al resto dell’Europa, in Italia nel 2020 operavano 4 medici per 1.000 abitanti, contro una media UE di 3,8. Meglio del 3,17 della Francia e del 3,03 del Regno Unito. Poco di meno della Germania (4,47 medici per 1.000 abitanti) e della Spagna (4,58). All’opposto, invece, il caso degli infermieri: in Italia nel 2020 nel nostro paese operavano 6,2 infermieri per 1.000 abitanti, contro i 18 di Svizzera e Norvegia, gli 11 della Francia, i 13 della Germania e gli 8,2 del Regno Unito. E comunque al di sotto della media europea, che è pari a 8,8. Ancora, l’’Italia è al quart’ultimo posto tra i paesi OCSE per il numero di posti a disposizione negli atenei per la laurea in Infermieristica. Hanno un numero di posti più basso solo Messico, Colombia e Lussemburgo. In quest’ultima nazione, però, il numero di infermieri per 1.000 abitanti è già circa il doppio di quelli italiani.
Non solo infermieri: anche i medici di base scarseggiano
Anche guardando alle specializzazioni mediche emergono alcune importanti criticità. In particolare, la percentuale di medici di medicina generale, sebbene rapportata alla popolazione sia apparentemente sufficienti, è inferiore di tre punti percentuali alla media europea (18% a fronte del 21%, con il Portogallo in testa al 46% e la Grecia fanalino di coda con appena il 6% di medici di base).
Inoltre – segnala ancora l’Agenas -, i medici di medicina generale non sono omogeneamente distribuiti sul territorio e molto scarsi nelle aree a bassa densità abitativa o caratterizzate da condizioni orografiche o geografiche disagiate come il Sud Italia. Dal 2019 al 2021, il loro numero si è ridotto di 2.178 unità.
Medici sempre più anziani. E nei prossimi 5 anni quasi 1 su 3 andrà in pensione
Ancora, l’Agenas segnala che il protrarsi del blocco delle assunzioni ha determinato l’innalzamento dell’età media del personale sanitario. Confermando un allarme lanciato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nel 2020 l’età media del personale medico era pari a 51,3 anni, e in particolare a 53,8 anni per gli uomini e 48,8 anni per le donne. Per gli infermieri, l’età media è 47,3 anni, leggermente superiore per le donne (47,4) rispetto agli uomini (47,2). Di conseguenza, nei prossimi anni si assisterà al noto fenomeno della “gobba pensionistica”, ovvero un aumento della curva dei pensionamenti. Guardando ai numeri, i medici dipendenti del SSN che andranno in pensione nel quinquennio 2022-2027 saranno circa 29.331, ovvero il 28,4% se rapportato al numero di professionisti attivi nel 2020. Mentre per il personale infermieristico i pensionamenti sono stimati in 21.050.
L’impennata dei prepensionamenti è un fenomeno che, “sebbene riguardi tutto il personale sanitario, appare naturalmente più minaccioso per i profili professionali già carenti” spiega l’Agenzia. Quindi proprio per i medici di medicina generale e gli infermieri. Come rimediare?
Una migliore offerta formativa, ma anche incentivi economici e sociali
Secondo il report, i provvedimenti emergenziali adottati nel corso della pandemia non hanno prodotto significative correzioni del numero di personale maggiormente carente. Invece, il sensibile incremento dell’offerta formativa delle scuole di specializzazione, a partire dal 2023, dovrebbe dare frutti positivi, contribuendo ad assicurare una disponibilità di personale sufficiente a compensare chi andrà in pensione.
Considerando però che medici di medicina generale e infermieri “sono gli assi portanti – sottolinea ancora l’Agenas – di qualsiasi operazione di potenziamento delle attività sanitarie di prossimità, un’offerta formativa ampliata non basta. Occorre anche “un sistema di incentivi in grado di rendere attrattive tali figure professionali in termini di riconoscimento sociale oltre che economico”.
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