Cristina La Rosa.
Nata e vissuta in regioni apparentemente distanti, Sicilia e Veneto, approda in Toscana per il verde e le opportunità nel sociale. Per anni lavora e si diverte tra psicoterapie, gruppi e animazione di adulti. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Catania.
Era la prima. Essere i primi, per alcuni è importante.
Avevano assemblato lei per prima: le avevano messo i dispositivi migliori e le lenti prototipo. L’avevano montata a mano e messa in funzione prima di dare l’ok alla catena di montaggio. Mani esperte ne avevano carezzato le cromature e l’involucro essenziale, avevano soppesato l’insieme. Un attimo prima di metterla alla prova era stata inserita una memory card fantastica: appena vi aveva potuto buttare uno sguardo erano comparse immagini di una perfezione e luminosità stupenda. Prima le aveva prese a modello e aveva fatto del suo meglio per rispondere agli scatti
nervosi ed esigenti del fotografo. Poi lui aveva detto ‘Sì’, come l’uomo del Monte per le banane, e da quel momento, in serie, era iniziata la produzione. Prima era rimasta su un tavolo. Inutilizzata e senza scheda di memoria, scordandosi di tutto e con un senso improvviso di vuoto. Era importante essere la prima? Senza dettagli ed orizzonti da scoprire, senza luci da valorizzare e mani ad accarezzarla si era fatta cogliere dal dubbio.
Poi un operaio qualsiasi, la aveva messa in un sacchetto, costretta in un contenitore di polistirolo soffocante ed angusto e chiusa in una scatola, buttandola su una pila di altre scatole tutte uguali. Aveva sentito scossoni, subito curve e cattivi odori. Nel silenzio aveva colto i pensieri vuoti provenienti dalle altre scatole. Nessuna di loro aveva conosciuto la bellezza, la luce, il mettersi alla prova. Borbottavano monotone e senza aspettative. Subivano gli scossoni e accettavano gli spigoli e l’odore viziato della plastica che le avvolgeva.
Scollandosi il cellophane dai fianchi e cercando di guardarsi dentro con fiducia, Prima cominciò a raccontare. Prima piano, per se stessa, raccontava del cielo, del calare della sera, dei paesaggi e dei volti in penombra di cui poter raccogliere le espressioni. Poi le sue vicine si fecero attente e le chiesero cosa ci fosse fuori, e lei parlò delle mani di una persona che la avevano accarezzata, della sua maestria nell’insegnarle a vedere, a filtrare, a ritagliare. Parlò delle lenti e degli scatti, del
mare e della notte. Le convinse che potevano catturare immagini meravigliose e le storie di quella piccola macchina fotografica riempirono il buio degli scatolini e la noia degli scaffali. Prima ricordava, in lei era rimasto impresso tutto: il click iniziale, le dita insicure e poi più ardite, le angolazioni e il chiaro scuro. Aveva memoria senza una card a registrare. Prima aveva occhi per vedere e cuore per sentire… e ricordare. I ricordi hanno bisogno di un cuore.
Una volta posizionate sugli scaffali di un enorme negozio, come mattoni ordinati di un mondo commerciale, le altre avevano cominciato a tremare e Prima aveva continuato a raccontare il mondo e le persone, con colori vivi o seppia, sfumature di grigio o vividi flash, con fiducia. Così, ogni mattina al sollevarsi meccanico della saracinesca del negozio, quando arrivava il brusio delle persone in giro per gli scaffali, ognuna di loro sognava di essere guardata con desiderio, acquistata, portata a casa e scartata con delicatezza e amore (non sapevano cosa fosse ma Prima lo aveva lasciato trasparire e ne avevano colto alcune angolature: rispetto, armonia, tenerezza, sincerità, complicità, emozioni…).
Le parole pronunciate fuori dalle persone tra gli scaffali non erano facili da capire, intuivano di essere ‘care’ una parola strana pronunciata con reverenza e talora scoraggiamento. Ma i sussurri di Prima incalzavano rassicuranti: “abbiamo caratteristiche uniche, da veri amatori, solo chi ci riconosce, ci sceglierà e sarà disposto a scoprire il mondo con noi”. Brividi di orgoglio, attese silenziose, tentativi di sporgersi dallo scaffale per poter essere scelte. Sentivano parlare di soldi, numeri, prestiti, rateazioni, interessi.
Poi Prima sentì parlare del Natale e senza capire la parola sentì la vibrazione che c’era dentro e l’emozione magica di un’attesa, sentì qualcuno parlare di lei come di un regalo. Era orgogliosa di essere una macchina fotografica, di avere una scheda grafica, una memoria, un obiettivo, tanti pixel come pochi altri… ma lì fuori qualcuno la toccava e voleva fare di lei un “regalo di Natale”. E Prima disse di “Sì”. Mandò fuori dalla scatola tutta l’energia di cui era capace, promise al flash che gli avrebbe restituito tutta la luce e desiderò fortemente di essere scelta e promossa a regalo di Natale. Non dicevano di lei che era cara o che era avanzata nella tecnologia, o buona a catturare immagini. La tenevano in mano e dicevano che era bella, unica, che piaceva loro l’idea di averla con loro a Natale. Loro, si, perché erano due voci due voci ma lei sentiva solo due mani, solo due mani, una diversa dall’altra, la toccavano e soppesavano, solo due mani la rigiravano incerte. Avrebbe capito solo in seguito, perché. Le persone che si fanno i regali di Natale si tengono per mano, cosi le mani a disposizione non sono mai quattro. Le sembrò bello, proprio così.