Il pregiudizio legato all’età spesso si nasconde nel linguaggio comune e in quello dei media. È tempo di abbattere gli stereotipi per costruire una società più inclusiva. Il ruolo della ‘Carta di Napoli‘ firmata dall’associazione 50&Più-Confocommercio e l’Ordine dei Giornalisti della Campania. Al via da oggi la campagna social: 50&Più combatte l’ageismo
L’ageismo contro gli anziani è una forma di discriminazione basata sull’età che si manifesta con pregiudizi e stereotipi che associano caratteristiche negative al dato anagrafico. L’ageismo sugli anziani è ovunque: dalle battute salaci nei bar e al lavoro, alla pubblicità di creme antiaging. Eppure, a volte è difficile da individuare, tanto la società ne è infarcita. Colpa anche dei media che troppo spesso impiegano un linguaggio fuorviante. Basta sfogliare un giornale. Il rapinato è “un povero pensionato”; l’amante di cucina è “una simpatica nonnina” e via dicendo. Nel migliore dei casi si scade nel paternalismo, quando non nella denigrazione.
Oltre la legge: la battaglia culturale contro l’ageismo
Naturalmente in Italia l’ageismo è vietato per legge. La Costituzione, all’articolo 3 (principio di uguaglianza), vieta qualsiasi forma di “discriminazione basata sulle condizioni personali”. Definizione in cui la dottrina ha fatto rientrare la “discriminazione basata sull’età”, di cui l’ageismo rappresenta una sottospecie. Analogamente anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) vieta espressamente qualsiasi forma di “discriminazione basata sull’età”. Ma la legge da sola non basta. È necessario un cambio di mentalità, a partire dal linguaggio.
Il potere del linguaggio
Esiste infatti un ageismo linguistico. Per gli psicologi il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, ma modella il modo di pensare e di vedere il mondo. La parola porta con sé un bagaglio culturale che influenza la percezione della realtà, finendo col trasmettere i valori della morale, dell’etica e dei sentimenti. Oggi si parla molto di cancel culture, ma è importante non confondere il politicamente corretto con l’uso improprio delle parole. In fondo il potere di esercitare il linguaggio per “fare cultura” appartiene ad ogni persona, che può fare la differenza.
Lo specchio distorto: come i media ritraggono gli anziani
L’idea che le persone anziane debbano essere messe da parte perché “malate”, “brontolone”, “lente”, “antiche” è un pregiudizio legato all’ageismo. Ed è ormai un fenomeno globale. Alla base c’è l’idea del decadimento fisico e cognitivo che accompagna il passare del tempo. Tanto da creare stupore un over impegnato e al passo coi tempi. Anche i media hanno la loro parte nella diffusione dell’ageismo. Gli anziani in tv, sui social e nei giornali appaiono per “fare notizia”. Suscitare commozione per la loro fragilità o indignazione perché vittime di abusi e truffe. Sono “nonnini”, “pensionati”, “vecchietti”, perdendo così la loro identità di individui. Come se esistesse un unico modo di vivere l’anzianità.
La parola ai giornalisti
Attraverso il linguaggio e la narrazione i media riflettono e plasmano il modo in cui la società percepisce l’invecchiamento. Il loro ruolo nel combattere l’ageismo non è perciò sottovalutabile. Qui la cancel colture non c’entra, non si tratta di “riscrivere” la storia, ma piuttosto di “scriverla”. Da questo presupposto nasce la Carta di Napoli, primo documento nel suo genere in Italia. Il nuovo protocollo d’intesa è stato sottoscritto da 50&Più-Confcommercio e dall’Ordine dei giornalisti della Campania, con un fine preciso. Quello di contrastare, a mezzo stampa, l’ageismo contro gli anziani.
La Carta di Napoli: per una rappresentazione più equa degli anziani
In questo nuovo ruolo contro l’ageismo, i media potranno attivarsi per promuovere il rispetto, la dignità e l’inclusione dell’anziano. Nel documento 50&Più invita i giornalisti ad una narrazione inclusiva e a non usare l’età per enfatizzare la notizia. Ma anche a non creare immagini eccessivamente giovanilistiche e ad utilizzare un linguaggio non stereotipato per non alimentare il conflitto generazionale. Li invita inoltre a favorire circostanze in cui gli anziani parlino direttamente dei temi che li riguardano e a non usare suffissi, diminutivi, superlativi e vezzeggiativi, evitando di suscitare compassione o pietismo.
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