Quel suono caldo, avvolgente, ruvido, che solo un disco LP può dare. Un’esperienza quasi fisica, che collezionisti e nostalgici conoscono bene e che non sono disposti a scambiare con la musica digitale o su CD. E il mercato del vinile ha iniziato una seconda giovinezza
Quanti sono i ricordi che ci riportano alla memoria gli oggetti smarriti del nostro passato? Molti risultano ormai inusuali o del tutto obsoleti; basti pensare alle cabine telefoniche, ai VHS, la lista sarebbe davvero lunga. Ma per qualche affascinante alchimia, alcuni di essi, hanno resistito ad ogni attacco tecnologico che li vorrebbe incastrati tra gli antichi rifugi di una vecchia foto. Il disco in vinile o Long Playing, ne è la prova conclamata: una sorprendente longevità nel mondo audiofilo, che mantiene intatto il rito sacrale di un ascolto vissuto con la medesima fisicità di un tempo. Dopo un periodo di supremazia digitale, quando la comodità del CD sembrava non lasciare spazio ai ripensamenti di un romanticismo andato, questo “signore”, nato nel 1948 come evoluzione del precedente 78 giri in ceralacca, torna pian piano ad esistere, con le sue grandi copertine, con la puntina che ne solca la spirale analogica, fino all’incanto di una riproduzione sonora capace di oltrepassare il senso del semplice ascolto, per raggiungere quell’esperienza mistica e tattile che ci racconta quasi un secolo di umanità.
Il disco in vinile ha, da ormai più di 10 anni, confermato una sua fetta di mercato con la pubblicazione di nuovi titoli, ristampe di classici e il fiorire di un collezionismo che, seppur di nicchia, è in grado di alimentarne il carisma. C’è un interesse sempre più crescente verso il supporto che ha cambiato la storia del nostro costume, un desiderio di rivalsa nei confronti di un presente che, probabilmente, ha l’urgenza di ritrovare la sua infanzia perduta.
La rinascita del Long Playing non si limita ai nostalgici mercatini ambulanti, si espande con la concretezza di gruppi Facebook, come “Dischi”, che conta migliaia di iscritti, e di nuovi negozi fisici come “Welcome to the Jungle” (nella foto sopra), due piani di sogni in vinile a Roma, nel quartiere Prati; inaugurato da pochi anni vanta titoli che spaziano dal Pop al Rock, fino ad un’imbattibile collezione di Jazz. Massimo Libutti, 70 anni e padre della proprietaria Martina (33), ci racconta la grande passione della figlia per il canto e del suo desiderio di aprire un negozio di dischi. Quando gli domandiamo di spiegarci la tipologia di clientela, lui risponde: «Non esiste un target, varia dai 20 ai 60 anni. Sono molti i giovani che si avvicinano al mondo dei giradischi». “Welcome to the Jungle” è quindi il rinnovato amore perché, lo si voglia o meno, una parte di musica è tornata a girare sotto le puntine. A differenza dei negozi di un tempo, si lavora anche sull’usato, sulla verifica di un’accurata quotazione, in quanto il valore di un’edizione rispetto ad un’altra potrebbe differenziarsi in maniera significativa, fino a raggiungere le vette dall’alto collezionismo. Oggi la clientela è più esigente, spiega Massimo, e servizi come il lavaggio dei supporti (grazie ad apposite macchine lava-dischi) e la possibilità di ascoltare un album prima dell’acquisto, sono parte della gestione di una struttura moderna. Quando poi si arriva agli artisti più venduti, Massimo risponde, senza riserve, che Beatles, Led Zeppelin e King Crimson resistono tra i più desiderati in assoluto; un’affermazione che ci illumina, traghettandoci verso l’odore della carta stampata, con gli occhi incantati su quelle copertine dal calore analogico.
Il nuovo fenomeno del Long Playing ha, quindi, inevitabilmente riposizionato i giradischi nei soggiorni di molte abitazioni: piatti di nuova generazione o illustri vintage revisionati a dovere.
Giampaolo Rugo, 53 anni, scrittore di libri e di teatro, ci apre la porta della sua casa a Roma, e ci racconta la sua passione per la musica e per l’ascolto analogico. Ha l’età perfetta per ricordare il passaggio epocale che condizionò l’uscita di scena del 33 giri a favore del più pragmatico CD. «Non ho niente contro il CD, parlo a titolo personale. Quando ero ragazzo, l’acquisto di un disco, il portarlo a casa, togliere la pellicola ed estrarre con attenzione dalla busta interna il vinile per evitare di toccare i solchi con la mano, posare su di esso la puntina, osservare con attenzione la copertina mentre la musica usciva dai diffusori: tutte cose che facevano parte dell’esperienza d’ascolto. Così, rovesciando il concetto, per me l’esperienza d’ascolto non è completa senza tutto questo rituale», ci dice Giampaolo davanti alla sua collezione di ben 700 dischi, parte di frammenti indelebili di vita. Poi ci racconta i suoi esordi da fruitore, quando una vecchia raccolta dei Beatles, Oldies But Goldies, aprì la porta a quello che, da sempre, è il suo gruppo preferito; seguirono i Cure, i The Who, il Jazz di Miles Davis. «Ascolto anche musica in CD. Ma ogni volta che metto un vinile sul piatto è come se quell’oggetto contenesse la magia degli ascolti precedenti», sottolinea alla fine, confermando un’esperienza d’ascolto che, malgrado le nuove tecnologie digitali, continua a raccontare una delle più belle storie del mondo… l’eterna poesia della musica.
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