La tecnologia ha sempre più un ruolo importante nell’assistenza sanitaria, in particolare nella cura della salute mentale.
Sempre più spesso sentiamo parlare di digital mental health in riferimento alle tecnologie che supportano il benessere psicologico. Si tratta di app per smartphone, piattaforme online, terapie digitali e strumenti pensati per la prevenzione, la diagnosi e l’aiuto alle terapie. Tutte realtà che, grazie anche all’Intelligenza Artificiale, possono essere di supporto alla salute mentale.
L’impiego dell’Intelligenza Artificiale
L’Intelligenza Artificiale (AI), in grado di analizzare grandi quantità di dati, come i risultati di test psicologici, può essere impiegata in supporto alla diagnosi e nella valutazione della salute mentale. Inoltre, può essere utile come supporto o counseling personalizzato, grazie a specifici chatbot che possono interagire con gli individui, offrendo supporto emotivo, consulenza e suggerimenti per affrontare lo stress.
Un altro uso può essere nel monitoraggio del benessere mentale dei soggetti, attraverso l’analisi dei dati provenienti da sensori indossabili, registrazioni vocali, dati dei social media e altre fonti, utilizzati per individuare segnali di ansia o altri comportamenti e fornendo interventi preventivi.
Infine, oltre alla creazione di app terapeutiche, l’IA può accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci per la salute mentale, utilizzando algoritmi di apprendimento automatico e analizzando grandi set di dati per identificare potenziali obiettivi terapeutici e definire l’efficacia di determinati composti chimici.
Questione di etica
L’impiego dell’Intelligenza Artificiale solleva oggi anche un dilemma etico rispetto a eventuali violazioni della privacy e alle decisioni prese dagli algoritmi. Dunque, non si può evitare di valutarne anche i limiti, oltre ai benefici.
La psicoterapia che ricorre anche all’AI può essere considerata ad alto rischio, perché l’uso improprio potrebbe portare a conseguenze potenzialmente gravi. Dunque non può prescindere dalla guida di un terapista.
L’Affecting Computing
La disciplina ingegneristica denominata “Affecting Computing” si occupa di sviluppare tecnologie in grado di percepire, riconoscere, comprendere e simulare i processi affettivi. Introdotta nel 1997 dall’Affective Computing Research Group del Massachussetts Institute of Technology, ha dato vita a una serie di ricerche su sistemi abilitati all’elaborazione dell’affettività, in grado di reagire ai cambiamenti di linguaggio, del tono di voce, delle espressioni facciali, raccogliendo i dati attraverso sensori fisici, videocamere o microfoni.
Il riconoscimento delle emozioni serve a rilevare lo stato emotivo dei soggetti e coinvolge a psicologia, le scienze fisiologiche, le tecnologie cognitive e informatiche.
Gli strumenti ad intelligenza artificiale basati sull’Affecting Computing
Un sistema in grado di rilevare le emozioni e interagire con gli esseri umani è il chatbot “affettivo”, che può avere un sistema autonomo di elaborazione del linguaggio naturale composto da analisi del segnale e riconoscimento automatico del parlato, analisi semantica e gestione delle risposte con sintesi vocale.
Esistono anche i cosiddetti robot sociali, già usati in ambito clinico, in grado di supportare i pazienti nelle carenze percettive, ad esempio di vista o di udito, e che possono anche inviare dati medici su eventuali comportamenti anomali.
Alcuni studi hanno dimostrato che nei disturbi dello spettro autistico, l’interazione con i robot può rivelarsi più positiva rispetto a quella con altre persone, e che la macchina possa addirittura supportare la prevenzione di forme depressive.
Il triage digitale
Anche nell’ambito della psicodiagnostica l’Intelligenza Artificiale sta conquistando sempre più spazio, perché in grado di velocizzare e migliorare i processi di valutazione. Un sistema AI è in grado di rilevare rapidamente alterazioni di movimenti oculari, identificare sintomi di ansia e depressione, valutare deficit neurologici e disturbi dell’apprendimento.
Anche lo studio di come il soggetto interagisce con la tecnologia, ad esempio di come utilizza lo smartphone, cosa e come digita, quanto spazio lascia fra un carattere e l’altro, può fornire delle indicazioni importanti sulla condizione psicofisica.
Chatbot psicologici nella ricerca
Numerosi enti di ricerca hanno realizzato dei chatbot dedicati agli studi psicologici e neuroscientifici. Eliza è stato il pioniere, sviluppato nel 1966 dal Mit di Boston, con l’obiettivo di realizzare la parodia di una conversazione tra un terapeuta e il suo paziente. All’epoca il chatbot non era in grado di offrire una vera diagnosi ma ha aperto la strada a nuovi sviluppi nel campo: nel 1972 all’Università di Stanford è nato Parry, con l’obiettivo di esplorare la possibilità che un’Intelligenza Artificiale potesse imitare i disturbi mentali umani.
Il più recente esperimento è rappresentato da SimSensei, assistente virtuale oggi in grado di fornire supporto emotivo e valutazione dello stato emotivo delle persone, sviluppato dall’Università della California. SimSensei usa la AI per elaborare il linguaggio naturale e interagire con gli utenti al fine di raccogliere informazioni sul loro stato emotivo, fornendo un ambiente sicuro per esprimere i propri sentimenti.
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