In un mondo sempre più connesso la condivisione dei dati riduce drasticamente gli spazi della riservatezza. Abbiamo raccolto il parere di Laura Palazzani, vice presidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Il tema della privacy è quanto mai cruciale in una società 2.0, sempre più adepta all’uso degli smartphone e, soprattutto, dei social. Ne abbiamo parlato con la professoressa Laura Palazzani, che insegna Filosofia del diritto all’Università Lumsa ed è anche vice presidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Privacy: quale tutela all’epoca dei social network?
Nel contesto dell’enorme quantità di dati e informazioni che circolano in rete sui social network si dice che la privacy “evapora”. Questo perché la “condivisione” dei dati riduce, inevitabilmente, gli spazi della riservatezza e della confidenzialità.
Quanta consapevolezza hanno, gli utenti, dei rischi che possono correre nel momento in cui condividono le proprie informazioni personali sui social?
Vi è generalmente una mancanza di consapevolezza da parte dell’utente di essere “generatore di dati” e del trattamento dei dati personali sui social network. A volte, i cittadini non sono pienamente consapevoli dell’impatto dei dati sulla loro vita presente e futura, oppure sono rassegnati alla costante ed insistente richiesta di dati e informazioni che si estende a tutti gli ambiti della vita quotidiana. Infatti, ogni nostra azione, pensiero, movimento è “tracciata” digitalmente sulla rete. L’utente, sempre più frettoloso e distratto, non si sofferma a leggere con attenzione i contratti e consensi che sottoscrive (spesso lunghi, scritti con caratteri piccoli, in modo complesso) per poter accedere al servizio che interessa, dimenticandosi delle “tracce” che rilascia nell’ambiente digitale. Spesso non ricorda a quali gestori ha consentito l’uso dei dati e non ha la minima idea di chi raccoglie i dati, dove sono conservati, per quale fine verranno usati (spesso fini commerciali). Di solito si sente “costretto” a dare il consenso all’uso del servizio o, spesso, non ha alternative.
Quanto è importante “accendere i riflettori” su questo tema?
È estremamente importante porre attenzione, soprattutto nei confronti dei giovani, coloro che usano più i social network con scarsa percezione del problema della privacy. I giovani sono spesso propensi alla “condivisione” (di foto, immagini, video, storie), senza comprenderne pienamente le possibili conseguenze negative e i possibili usi di informazioni che permangono nella rete. In particolare, manca la consapevolezza che i dati anagrafici raccolti possono essere connessi ad altre informazioni personali (educazione, preferenze, appartenenze, stati emotivi, comportamenti, atteggiamenti). Le informazioni personali possono essere usate nella “profilazione” dell’utente; i dati possono anche essere trasferiti in altri Paesi anche extra-europei, dove non ci sono regole sulla protezione della confidenzialità, o anche venduti a terzi.
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati GDPR (2016), è un regolamento dell’Unione Europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy. È efficace? Quali sono i punti deboli?
Il Regolamento è uno strumento importante che delinea l’esigenza per gli utenti digitali di avere un controllo nella gestione dei dati in modo trasparente. Esige precisazioni dall’utente e consente la possibilità di revoca, rettificazione, integrazione o cancellazione dei dati (il “diritto all’oblio”). Ma queste precisazioni, a volte, sembrano difficili da realizzare nel contesto dell’enorme quantità ed eterogeneità delle informazioni raccolte nell’epoca dei “big data” e della possibile mancanza di trasparenza da parte dei provider e degli operatori della rete. Un altro concreto problema, che sta emergendo con sempre maggiore rilevanza, e non pienamente regolato, è l’uso secondario dei dati. I dati raccolti possono essere usati da enti o anche venduti ad altre società, per ricerche ulteriori, non previste al momento della raccolta, e per ricerche non correlate a quelle originarie. Facile perderne il controllo, inconsapevolmente.
Navigando sul web non si può fare a meno di incorrere nei “cookie”, e spesso si è portati a cliccare su “Accetta tutto”. Quanto rischia di essere dannosa una simile leggerezza?
Purtroppo è una leggerezza, che capita a tutti. A volte non abbiamo alternative oppure, se le abbiamo – ad esempio, “opzioni personalizzate per i cookie” -, sono così complesse, che richiedono tempo, spesso incompatibile con i ritmi della nostra vita e la fretta che generalmente abbiamo quando siamo connessi alla rete. Dovrebbe essere invece chiaro il diritto di rifiutare, in modo semplice, conoscendo in modo trasparente le conseguenze dell’accettazione e del rifiuto. Certamente l’accettazione compromette la libertà della nostra navigazione, l’aumento di pubblicità.
Cosa si aspetta nel prossimo futuro: la rete continuerà ad insediare i nostri dati personali o si maturerà una consapevolezza maggiore?
Nel prossimo futuro, ma in verità già nel presente (è anche previsto dal regolamento europeo), l’auspicio è l’applicazione del principio della privacy by design, ossia “privacy nel disegno” o progettazione delle tecnologie. In base a questo principio è necessario garantire la protezione dei dati fin dalla fase di ideazione di una tecnologia, prima ancora che sia messa sul mercato. In questo modo il problema viene affrontato sin dall’origine e l’utente è più protetto. Ciò sarà davvero realizzato solo se verranno inseriti nel contesto degli studi di informatica e ingegneria, da cui usciranno i nuovi “sviluppatori” o i futuri costruttori e ideatori delle tecnologie, corsi di etica, per comprendere quali sono i requisiti essenziali nella produzione della tecnologia che siano rispettosi dei diritti di chi la userà.
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