L’intelligenza artificiale di un computer ora è in grado di creare composizioni impensabili fino poco tempo fa. È davvero arrivata la fine degli artisti?
Qualche mese fa ha fatto notizia un’oscura competizione a una fiera d’arte in Colorado, negli Stati Uniti. La ragione? Il premio per la migliore opera digitale è stato attribuito a un’immagine generata da un’intelligenza artificiale. L’autore dell’immagine, Jason M. Allen, infatti, l’ha prodotta utilizzando Midjourney, un programma capace di creare rappresentazioni grafiche a partire da poche parole chiave.
Midjourney funziona all’incirca così: tramite un processo di “apprendimento”, il sistema di intelligenza artificiale impara ad associare parole e rappresentazioni visive analizzando milioni di immagini provenienti da internet. Con il tempo il sistema diventa sempre più capace di riconoscere e definire il contenuto di un’immagine, e a tradurre un input linguistico in una o più immagini nuove, che ancora non esistevano, prendendo elementi da foto, illustrazioni, dipinti analizzati in precedenza.
Per l’utente umano Midjourney assomiglia a un motore di ricerca come Google: inserendo delle parole chiave si ottengono una serie di risultati, solo che in questo caso i risultati vengono creati ex novo, dando forma a possibilità inedite, bizzarre, anche assurde.
L’illustrazione che ha vinto il concorso, intitolata Théâtre d’Opéra Spatial, assomiglia a un dipinto iperrealista, i cui elementi ci appaiono riconoscibili e allo stesso tempo estranei, quasi alieni. Riconosciamo delle figure umane, quello che pare un palcoscenico e un enorme varco rotondo che si apre su un paesaggio i cui contorni sono indistinguibili. A prescindere dal valore dell’opera – o se per questo, del premio assegnato ad Allen, di soli 300 dollari – la decisione della giuria ha scatenato le proteste di artisti e in generale risvegliato paure latenti rispetto al rischio che l’intelligenza artificiale renda superfluo il lavoro degli esseri umani.
In ambito creativo, gli sviluppi tecnologici ci pongono davanti a domande ancora più delicate: cosa può essere considerato arte? È necessario che a produrla sia un essere umano? Se un’intelligenza artificiale è capace di imitare lo stile e il lavoro di artisti viventi, le sue creazioni si possono considerare originali o sono equivalenti a un furto?
I cambiamenti tecnologici, che siano positivi o no, ci impongono di rivedere il nostro rapporto con la realtà, ed è inevitabile che producano instabilità e scetticismo. È successo con l’invenzione della macchina fotografica, definita da Baudelaire “nemica mortale dell’arte”, e più avanti con i programmi digitali di disegno e ritocco delle foto, che richiedono una minore capacità tecnica per produrre risultati soddisfacenti.
Nella cultura occidentale l’idea dell’arte è inestricabilmente legata alla figura dell’artista. Molto del valore che diamo all’arte è legato al talento, o al genio, che attribuiamo all’autore dell’opera. Il progresso tecnologico – ma anche artistico – dell’ultimo secolo ha però messo in crisi questa concezione: in molte opere d’arte contemporanea l’elemento tecnico passa in secondo piano, tant’è che spesso, osservando alcune installazioni, ci capita ingenuamente di pensare: “potevo farlo anch’io”. Quando guardiamo un dipinto rinascimentale, non abbiamo dubbi sul fatto che per realizzarlo siano stati necessari talento, tempo, e una tecnica difficile da replicare, mentre restiamo spaesati davanti a una tela strappata o a un orinatoio esposto nella sala di un museo. Questa sensazione di spaesamento – la nostra incapacità di comprendere il valore di un quadro, una scultura o un’installazione – diventa ancora più accentuata quando togliamo l’artista dall’equazione.
Eppure, uno dei problemi principali, al momento, delle immagini create da intelligenze artificiali non è tanto che non richiedono capacità tecniche o che sono prodotte in una frazione del tempo solitamente richiesto, ma che fanno uso del lavoro di artisti viventi, del loro stile e delle loro opere: non creano mai dal nulla, ma attraverso un processo di apprendimento, appropriazione e rielaborazione di immagini prese dal web. Il rischio non è tanto che scompaiano gli artisti, ma che vengano prodotte opere per cui non è chiaro a chi attribuire il merito, con il diritto ad essere retribuito.
L’intelligenza artificiale, insomma, ha ancora bisogno degli esseri umani. Ha bisogno del lavoro di innumerevoli artisti per essere capace di generare immagini nuove. È una tecnologia che muove i primi passi, e poche delle sue creazioni sono di qualità tale da mettere a rischio l’arte come la conosciamo. Queste immagini, per essere più che un mero gioco di assemblaggio elettronico, richiedono che un essere umano abbia un’idea innovativa, provi a usare associazioni di parole inaspettate, sia capace di selezionare i risultati originali e di scartare quelli scadenti. Un umano che utilizzi queste immagini in contesti nuovi, magari dando vita a un nuovo linguaggio visivo.
L’introduzione di una tecnologia innovativa non segnerà la fine dell’arte né degli artisti, come non l’ha segnata la fotografia. Ma saremo costretti a rivedere, ancora una volta, cosa si può definire arte e chi si può definire artista.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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