Il 17 luglio si festeggia la giornata mondiale delle emoji. Tutto ciò che c’è da sapere sulle “faccine” con cui comunichiamo al mondo le nostre emozioni.
Dal 2014 celebriamo la giornata mondiale delle emoji. Faccine sorridenti, cuoricini, mani che salutano, costituiscono un linguaggio globale irrinunciabile per comunicare in chat, in mail e sui social. Queste piccole icone riassumono concetti, sentimenti, azioni ed enfatizzano il tono di chi scrive. Hanno un posto al MoMa di New York e il titolo di parola dell’anno (2015), secondo il dizionario Oxford. Per la giornata, sul canale YouTube di Emojipedia debutteranno video di esperti e aficionados da tutto il mondo. Stay tuned!
Un linguaggio di massa che viene da lontano
La parola emoji deriva dal giapponese ed è composta da “e” che significa “immagine” e “moji” che significa “lettera, carattere”. È vicina insomma a quelli che noi chiamiamo pittogrammi, disegni facilmente e universalmente identificabili. Le emoji (il genere è ancora fluttuante, anche se per la Treccani è maschile, precisa l’Accademia della Crusca) sono eredi di scritture millenarie basate su simboli e geroglifici, come quelle cinese ed egiziana. Ma il loro inventore è un grafico giapponese, Shigetaka Kurita, autore dei primi 176 pittogrammi creati basandosi sui manga, i segnali stradali e gli ideogrammi.
Tutti i valori in una tastiera
L’universo delle emoji è in continua evoluzione poiché rispecchia la cultura, gli usi e i costumi di ogni Paese. Così, accanto a chador e hijiab, troviamo la donna con la barba o le coppie composte da due donne e da due uomini. Caratteri che parlano un linguaggio inclusivo, e alla parità di genere aggiungono il rispetto per la disabilità, con le protesi di braccia e gambe e la sedia a rotelle. Stando sempre attenti ad ogni colore di pelle e ai fatti del mondo. Tra le new entry, ad esempio, la siringa con una goccia di sangue, che indica che si è stati appena vaccinati.
Il censore del politically correct, Unicode Consortium
Il catalogo di emoji oggi include più di 3.600 illustrazioni che rappresentano di tutto, dalle emozioni al cibo, ai fenomeni naturali, alle bandiere e alle persone nelle varie fasi della vita. Ogni anno il compito di lanciare nuovi i simboli spetta ad Unicode Consortium, una no profit di cui fanno parte colossi come Google e Facebook che mira a rendere le emoji leggibili e accessibili a tutti. Ma che è meglio conosciuto per essere il custode delle emoji, l’unico con l’autorità di standardizzarle, approvarle o rifiutarle.
Chi scende e chi sale
Unicode ci informa che l’emoji più popolare al mondo è lo smile con le lacrime di gioia, seguita dal cuoricino rosso e dalla faccina che ride a crepapelle. Che la categoria più usata è quella delle faccine e delle mani, seguono animali e piante. Ultime le bandiere. È interessante notare che pandemia ha influito anche sullo scambio di emoji. Nel lockdown sono aumentati ovunque nel mondo i simboli tristi, espressioni di angoscia e sensazioni negative. Difficile dimenticare la faccina con la mascherina o le mani giunte in preghiera. Come pure l’arcobaleno, rappresentazione dell’”andrà tutto bene”.
Attenzione alle gaffe
Esiste naturalmente un galateo con relative “istruzioni per l’uso”: non è sempre facile interpretare il significato corretto di questo nuovo esperanto. Per evitare gaffe, in caso di dubbi, è buona norma consultare il sito Emojipedia. La wikipedia degli emoji è una vera bibbia in materia: le raccoglie, le cataloga, e ne spiega il significato. Considerata un dizionario di emoji, Emojipedia pubblica anche articoli e fornisce gli strumenti per essere sempre up to date, cioè aggiornati, su nuovi caratteri, modifiche al design e tendenze di utilizzo.
Uso o abuso?
L’80% della nostra comunicazione non è verbale: ai segnali del corpo affidiamo empatia e connessione. Ed è esattamente questo il compito delle emoji, espressioni informali del nostro linguaggio. In un mondo che corre veloce il loro uso offre una scorciatoia ai rapporti interpersonali. E del resto, per la giornata mondiale delle emoji, Zuckerberg ha appena annunciato l’ampliamento delle “reazioni” su Whattsap. Ma il rischio di superficialità è dietro l’angolo. Secondo un’indagine di Samsung due italiani su tre ricorrono alle faccine “spesso” o addirittura “sempre”. Le preferite? Il bacio, la risata con le lacrime e il pollicione alzato. Uno scambio forse troppo standardizzato. Proviamo a sostituire un cuore con un “ti voglio bene”: l’effetto sorpresa sarà assicurato.
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