Non fece un passo indietro, neppure di fronte alla malattia. Quando Margaret Bourke-White, pioniera del fotogiornalismo – la ricordiamo al lavoro, in cima al grattacielo Chrysler – riceve, nel ’53, la diagnosi di Parkinson, trasforma quel dolore in un racconto collettivo. Proprio così come documentato nell’undicesima sezione della mostra Prima, donna. Margaret Bourke-White a lei dedicata al Museo di Roma in Trastevere.
Ci siamo stati e abbiamo visto come, negli scatti, neppure quella malattia fosse riuscita a bloccare la sua sete di conoscenza, l’amore per la verità e quell’inclinazione unica nel mettersi sempre in gioco. E vale ancora più la pena raccontarlo oggi – a ridosso della giornata nazionale dedicata alla Malattia di Parkinson -, la stessa nella quale le iniziative in proposito si svolgono un po’ in tutta Italia.
La malattia di Parkinson in Italia
Secondo stime recenti, si parla di 230-270mila persone colpite dal Parkinson in Italia. Ma i dati vanno aggiornati continuamente e non vi è certezza che siano del tutto veritieri poiché c’è ancora scarsa conoscenza della malattia. Una malattia che deve confrontarsi quotidianamente con stereotipi e pregiudizi e che vede, spesso, familiari – e dunque caregiver – chiusi nella più totale solitudine e isolamento. Si sa che, generalmente, i sintomi si manifestano in età matura – intorno ai 60 anni -, ma cresce il numero dei giovani che oggi restano colpiti. Una diagnosi tempestiva, una vita di relazione possono sicuramente molto per chi ha a che fare con questa grossa difficoltà consentendo di mantenere un buon livello nella qualità della vita.
Margaret Bourke-White e la sua malattia
Ripensiamo, allora, a Margaret Bourke-White, statunitense, donna di chiara fama. Colei che, ventenne, divenne celebre per una serie di fotografie industriali legate al mondo delle acciaierie. É la stessa che immortalerà i fatti principali della storia del secolo scorso: il Sud Africa dell’apartheid, l’America dei conflitti razziali, il brivido delle visioni aeree del continente americano fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life e le cronache visive del secondo conflitto mondiale e i celebri ritratti di Stalin prima e Gandhi, poi.
Eppure è nel ’53 che tutto cambia forma, che il lavoro stesso assume – per necessità – contorni più sfocati. “La mia misteriosa malattia – si legge all’interno della mostra – cominciò in modo così sommerso che mai avrei immaginato ci potesse essere qualcosa che non andava. Il morbo non colpisce la parte del cervello che controlla il pensiero, ma i centri motori che coordinano i movimenti volontari. È come un’Idra inafferrabile, dalle mille spire. Costretta a dedicare il mio tempo agli esercizi, ho scoperto la soddisfazione di misurare i piccoli miglioramenti e avere così, di nuovo, la sensazione di poter ancora controllare la mia vita – una consapevolezza per me fondamentale”.
Dall’autobiografia al reportage della malattia
Con l’evolversi della malattia, Margaret prenderà a dedicarsi interamente alla scrittura quando si renderà conto che anche la strada dell’intervento al cervello non avrà, purtroppo, prodotto effettivo giovamento. Nel 1963 diede, dunque, alle stampe Portrait of Myself – la sua autobiografia -, mentre si devono al collega – Alfred Eisenstaedt – gli scatti che documentarono quella fase della vita della fotografa in un reportage pubblicato sullo stesso Life.
Nel ’67, dopo anni di battaglia contro la malattia, Bourke-White muore a 67 anni. Di lei, però, resta l’emblema di una donna volitiva – capace di distinguersi in un campo, all’epoca, pressoché interdetto alle donne come la fotografia. Forte, si diceva, anche di fronte a quella sua ‘misteriosa malattia’.
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