Sono 130 i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti in Italia. Ecco come funzionano le scuole pubbliche che propongono corsi e attività
Sono ancora poco conosciuti nonostante il prezioso servizio che offrono: i CPIA, Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, sono scuole pubbliche che propongono corsi e attività per adulti e giovani adulti che abbiano compiuto almeno 16 anni, e lavorano in collaborazione con enti di formazione ed enti locali che si occupano di istruzione.
«Nei CPIA è possibile conseguire la terza media, dunque il titolo conclusivo del primo ciclo scolastico, ottenere la certificazione dell’obbligo di istruzione, quindi il biennio delle superiori, e acquisire la certificazione di livello A2 di conoscenza della lingua italiana, che serve ai cittadini stranieri per ottenere il permesso di soggiorno – spiega Anna Maria Castria, docente del CPIA di Taranto -. Ma molti non sanno che chiunque può iscriversi anche a corsi di lingue straniere e di informatica, in modo gratuito, e a qualunque età».
In Italia ne abbiamo 130, che accolgono nelle loro aule una larga parte della popolazione più fragile, che rischia di non avere un inserimento pieno nel mondo lavorativo: migranti, adulti senza diploma, adolescenti che hanno abbandonato gli studi precocemente.
Quanto è difficile far conoscere il lavoro del CPIA?
Siamo spesso identificati come “scuola per stranieri”, non riconosciuta tra l’altro nemmeno dall’opinione pubblica e dai media. Spesso si parla dei volontari che insegnano l’italiano ai rifugiati ma non del lavoro della nostra scuola statale. Per questo vorremmo farci conoscere meglio sul territorio, e chiediamo costantemente la collaborazione dei sindaci, anche perché svolgiamo un intervento sociale, con i cittadini stranieri e non.
Come CPIA di Taranto avete fatto parte del progetto europeo Eu Read&art, la prima biblioteca digitale europea di “book trailer”: quale era l’obiettivo?
L’iniziativa serve a incoraggiare la lettura e l’espressione creativa come strumenti di sviluppo personale e sociale, avvicinando gli adulti anche al mondo digitale. Ha una durata di due anni e ha visto la partecipazione di 7 organizzazioni in rappresentanza di 6 Paesi.
Da allieva ad autrice.
Per la realizzazione dei book trailers sono stati organizzati diversi incontri con autori contemporanei. Una di queste è Maria Idria Semeraro, ex studentessa alle scuole serali, oggi pedagogista e autrice di Storie di sera, edito da Rossini.
Com’è entrata in contatto con la realtà dei CPIA?
Ho iniziato nel 2011 quando si parlava ancora di scuole serali, i CPIA sono nati quando mi stavo diplomando nel 2015, quindi ho vissuto il passaggio in modo diretto. Io posso dire di aver ripreso gli studi “per caso”: mi sono trovata al liceo scientifico per i colloqui con i docenti dei miei figli, e lì ho incontrato una donna che conoscevo e che mi ha raccontato che si trovava lì perché frequentava i corsi serali. Mi sono incuriosita, è scattato qualcosa in me e così sono tornata in quell’istituto poco tempo dopo per incontrare il referente di quei corsi.
Come è riuscita a organizzare le giornate per dedicare parte del suo tempo allo studio?
Nel mese di giugno del 2011 ho fatto l’esame, e a settembre ho cominciato a frequentare il terzo anno. All’epoca i due figli più grandi erano piuttosto autonomi, ma la più piccola aveva solo sei anni. Nel primo pomeriggio seguivo lei che era in prima elementare, poi lasciavo la cena pronta per tutti e dalle 17 alle 22, per cinque giorni a settimana, ero a scuola. È stato un impegno grande, ma costruirsi un futuro, a qualsiasi età, non è mai tempo sprecato, anzi, significa impiegarlo al meglio.
Dopo il diploma ha deciso di iscriversi all’università, dove ha conseguito la laurea triennale e la magistrale. Perché ha scelto la facoltà di Scienze dell’educazione?
Mi sono diplomata con 88, che secondo me è un bellissimo voto perché richiama il simbolo dell’infinito, come le possibilità che possono presentarsi. A quel punto ho deciso che dovevo restituire quello che mi era stato dato negli anni della scuola, e il modo migliore era continuare a studiare. Avevo pensato di iscrivermi alla facoltà di informatica, perché ero molto portata, ma poi dato che il mio vero obiettivo era quello di educare gli adulti come me, ho scelto Scienze della formazione.
Lei si è laureata nello stesso giorno di sua figlia maggiore, cosa ha provato?
Ci siamo laureate insieme, sì, io alla triennale e lei alla magistrale. È stata un’emozione indescrivibile: aver lasciato gli studi da adolescente per un problema di salute e aver poi avuto la mia prima figlia a soli 19 anni mi ha fatto crescere in fretta, ma in quel momento tutti i sacrifici fatti sono stati ripagati.
Nella sua prima tesi ha fatto un lavoro sperimentale, somministrando dei questionari agli studenti adulti: cosa è emerso?
La tesi è sull’istituto che mi ha diplomata. Nel questionario ho chiesto agli studenti come avessero conosciuto la scuola serale e perché avessero abbandonato gli studi in adolescenza. Molti hanno raccontato di essersi trovati dei muri davanti, di non essere stati compresi e motivati. Quando vado a testimoniare nelle scuole incontro molti ragazzi che vogliono lasciare la scuola, per questo continuo a raccontare la mia storia. C’è ancora poca conoscenza delle scuole per adulti, della seconda possibilità che tutti possiamo avere.
“Storie di sera” è il suo primo libro, scritto a quattro mani con Maurizio Seggioli.
Quando mi sono diplomata ho cominciato a scrivere la mia storia, ma sentivo che mancava qualcosa. Un giorno sono andata a trovare il mio insegnante, Maurizio Seggioli, perché volevo che mi scrivesse una dedica sul suo libro Viaggio in Africa: gli ho raccontato che avevo cominciato a scrivere e lui mi ha detto che stava facendo altrettanto, ma anche per lui la storia non scorreva. Così ho lanciato l’idea di scrivere un libro insieme, e dopo qualche mese, in pieno lockdown, ho ricevuto il suo messaggio. È così che è nato il libro, in un intreccio dei due punti di vista, dell’allieva e del maestro.
Prossimi progetti?
Stiamo scrivendo il seguito di Storie di sera, perché il primo libro si chiude con il mio esame di maturità. E poi continuare a portare la mia testimonianza in tutti i luoghi in cui c’è bisogno di infondere fiducia, che siano scuole, comunità. Ero una madre e continuo a fare la madre, ma sorrido di più, penso con la mia testa e ho imparato a lasciare andare tutto il superfluo.
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