Se non avete mai sentito parlare di consulenza filosofica siete in buona compagnia: la conoscono davvero in pochi. Nata in Germania negli Anni ’80, si colloca a metà strada tra la psicoterapia e il coaching motivazionale. I consulenti filosofici, a differenza degli psicologi, non si occupano di condizioni patologiche. Partono invece dalla consapevolezza che ci sono domande di natura etica ed esistenziale a cui nessuno, nel corso della propria vita, può sfuggire. Permettono a chi si rivolge loro di esplorare possibilità inaspettate, fare i conti con dubbi e questioni complesse, osservare in maniera critica la realtà che li circonda.
Il counseling filosofico si ispira a una concezione della filosofia come disciplina che si interroga sul vivere e soprattutto sul vivere bene. È uno dei tanti esempi dell’interesse che si è diffuso negli ultimi anni per la filosofia pratica e che ha risvolti immediati sul mondo. Interesse che ha trovato nello stoicismo (una scuola di pensiero che ha radici nel mondo greco e romano) un terreno particolarmente fertile. Gli insegnamenti degli stoici sono così attuali da aver ispirato una forma di psicoterapia molto diffusa ed efficace: la terapia cognitivo-comportamentale.
È una terapia che si basa, tra le altre cose, sul presupposto che non sono gli eventi a causare disagio psicologico, ma l’interpretazione che diamo a ciò che ci accade. Un precetto che era già stato espresso con eleganza dal filosofo stoico Epitteto, duemila anni fa: «Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose».
Forse questa filosofia antica sta diventando così popolare anche perché rappresenta una via di fuga dalla retorica del pensiero positivo di cui sono pieni tanti mediocri manuali. Esortazioni a non fermarsi davanti a niente, a porsi obiettivi sempre più ambiziosi, come se successo e felicità dipendessero solo da noi. Gli stoici ci insegnano invece due verità fondamentali: ci sono circostanze che non possiamo controllare e occorre concentrare la nostra energia su ciò che, invece, ci è possibile cambiare; cioè le nostre azioni, le nostre reazioni e la nostra prospettiva sugli eventi. È quella che in un bel libro, La legge del contrario, il giornalista Oliver Burkeman chiama la «via negativa» alla felicità: un approccio che richiede il coraggio di familiarizzare con le difficoltà della vita, con l’incertezza, con il fallimento e la perdita. È la ricerca affannosa, quasi ossessiva, della felicità che ci rende frustrati e depressi; il nostro tentativo di liberarci dalle emozioni difficili senza affrontarle, ci costringe all’insoddisfazione e spesso, paradossalmente, all’infelicità.
Si racconta che Zenone di Cizio, il padre dello stoicismo, fosse arrivato alla filosofia proprio dopo un’enorme sciagura. Nato nel IV secolo a.C., Zenone veniva da una famiglia di ricchi commercianti di porpora, una tintura preziosissima amata da reali e aristocratici. In viaggio con un grosso carico di quel raro pigmento, fu vittima di un disastroso naufragio e vide sparire tra le onde un patrimonio inestimabile. Eppure, fu a causa di quella perdita che fece un incontro che gli cambiò la vita. Approdato ad Atene, un giorno si fermò in una bottega di libri. Lì, sentendo leggere ad alta voce un’opera che parlava di Socrate, rimase così colpito da chiedere al libraio dove potesse trovare uomini del genere. Il caso volle che proprio in quel momento passasse di lì Cratete di Tebe, un famoso filosofo ateniese. Il libraio glielo indicò e Zenone lo seguì. Invece di sprofondare nella sofferenza, scelse la via della saggezza.
Lo stoicismo insegna ad avere un approccio equanime rispetto alle casualità della fortuna nelle vicende umane. È una capacità che va allenata, non necessariamente sperando che ci capitino atroci sciagure. «Io non mi sono mai fidato della fortuna, anche quando sembrava in pace; e tutto quello che essa con bontà mi elargiva: denaro, onori, favori, io lo accettai sempre in modo che essa potesse anche riprenderselo senza mia sofferenza.» Lo scriveva Seneca, e infatti il filosofo latino sosteneva che l’antidoto alla paura di perdere tutto era vivere, di tanto in tanto, rinunciando a ogni agio.
Si pensa spesso che la cura della psiche umana e delle sue sofferenze sia un fenomeno moderno, nato alla fine del secolo diciannovesimo con la fondazione della psicologia e della psicanalisi.
Secondo alcune fonti storiche però già nel V secolo a.C. un filosofo e drammaturgo di nome Antifonte aveva messo a punto un’arte «per evitare il dolore», cioè un metodo per decifrare e curare le sofferenze psicologiche attraverso l’uso di domande strategiche e l’interpretazione simbolica dei sogni. Questo 2.400 anni prima di Sigmund Freud e dell’invenzione della psicanalisi.
Non sappiamo quanto siano fondate queste fonti storiche. Quello che è certo, però, è che la filosofia può riservarci molte sorprese, può offrirci molti strumenti per vivere un’epoca complicata come la nostra.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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