Sempre più frequentemente siamo raggiunti da notizie di atteggiamenti verso le persone anziane caratterizzati da dimenticanze, mancanze di rispetto, esclusione da servizi ai quali avrebbero diritto. Per indicare questo insieme di comportamenti negativi verso la persona non più giovane è stato coniato il termine di origine inglese ‘ageismo’, condizione purtroppo diffusa, contro la quale però oggi si stanno mobilitando movimenti di pensiero e diverse azioni concrete. Non sarà un facile contrasto; infatti, negli ultimi decenni, a fronte di un rilevante aumento dell’aspettativa di vita, e quindi del numero di persone anziane nelle nostre comunità, è mancata un’adeguata risposta sul piano culturale e organizzativo. Poche realtà si sono incaricate di diffondere su larga scala l’idea che le persone anziane non sono solo un peso da supportare, ma una componente importante di ogni comunità. Sono, infatti, portatori di una memoria, ma soprattutto capaci di conservare un’attività lavorativa, all’interno e all’esterno delle famiglie, in particolare nei settori con minore coinvolgimento fisico, di trasmettere contenuti formativi alle nuove generazioni, di accrescere le conoscenze in alcuni settori chiave della nostra organizzazione sociale. Sono, di conseguenza, cittadini che hanno gli stessi diritti degli altri di età diverse, fondati da una parte sull’appartenenza ideale alla stessa comunità e dall’altra ai vantaggi, in termini concreti, che questi cittadini sono in grado di produrre.
L’impegno per contrastare l’ageismo non ha ancora raggiunto traguardi definitivi; però, di fronte ad un mondo irrispettoso ed egoista, si sta facendo spazio la logica e la pratica della cura, come attività di reciproco supporto all’interno della comunità. In un mondo dove le reti sembrano sempre più labili, la logica della cura diviene più importante perché stende reti dove mancano, offrendo ai più fragili un supporto che è condizione indispensabile per vivere.
Di quale cura hanno bisogno gli anziani del nostro tempo, perché il loro mondo sia adeguato alle loro esigenze al fine di costruire un “mondo possibile”? Di seguito indico schematicamente alcune caratteristiche di una cura efficace.
Prima di tutto è necessaria una diffusa condivisone sul fatto che senza cura a livello individuale e di comunità la vita dell’anziano si inaridisce e, progressivamente, i problemi legati all’età diventano dominanti rispetto ad ogni altra prospettiva. L’anziano che ritiene di “cavarsela da solo” spesso non vive una vita serena, osserva il mondo intorno a lui con preoccupazione e scetticismo, vive con angoscia il desiderio che qualcuno si avvicini e lo accompagni ma, allo stesso tempo, tende a rifiutare ogni offerta di relazione. Ad un certo momento, poi, viene il tempo del bisogno concreto di cura; chi, però, non è aperto a riceverla reagisce male e la rifiuta. Non è facile abbattere questa barriera, ma è doveroso insistere da parte di chi capisce che l’autonomia professata troppo spesso maschera dolore e fatica di vivere. La cura deve essere coraggiosa, non fermarsi davanti a ostacoli psicologici e organizzativi: sono sempre moltissimi e solo la generosità e la cultura permettono di affrontarli con successo.
La cura dell’anziano non si riferisce solo ad aspetti di carattere clinico. Infatti, questi ha bisogno di sentirsi accompagnato nelle ore della sua giornata. L’aspetto principale è il controllo della solitudine, che domina la vita di molte persone anziane. La città curante è in grado di stendere attorno a lui una rete di cura, fatta di luoghi di incontro, di ascolto organizzato dei suoi problemi, in particolare del suo dolore fisico e psichico, del quale non è in grado di parlare con nessuno. Vi sono esperienze che indicano la possibilità che la solitudine sia almeno in parte lenita, così il mondo dell’anziano può diventare più sereno. Un mondo vissuto come estraneo, senza futuro, può trasformarsi in “luogo possibile”.
La cura si esplica anche con interventi che riguardano la salute. Una società giusta deve prendere in carico l’anziano, accompagnandolo attraverso i diversi luoghi che si prendono cura del suo benessere, aiutandolo sia a organizzare pratiche che garantiscono una vita lunga sia interventi specifici per singoli problemi di salute. Una comunità curante è il luogo dove l’anziano viene preso in carico e accompagnato attraverso mondi che non conosce e che frequentemente teme, che provocano incertezze e dubbi e talvolta sfociano nell’angoscia. La cura dell’anziano è fatta di competenza tecnica (peraltro non facile, perché questi non è un giovane ricco di anni, ma una realtà complessa, con specificità da capire per farne oggetto di interventi qualificati) e di accompagnamento gentile: due competenze e atteggiamenti che insieme costruiscono “mondi possibili” per chi non è più giovane.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
© Riproduzione riservata