Pochi italiani la leggono e la conoscono. Eppure, secondo Andrea Morrone, esperto costituzionalista, la Carta fondamentale della Repubblica è destinata a durare. Ecco perché
La Costituzione Italiana ha 75 anni. «L’ho letta attentamente! Possiamo firmare con sicura coscienza», affermò Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica Italiana dal 1° gennaio 1948, quando la Costituzione entrò in vigore dopo essere stata approvata definitivamente, il 22 dicembre 1947, dall’Assemblea Costituente. Quanti italiani, oggi, posso affermare lo stesso? In pochi. Secondo un recente sondaggio, commissionato dal WWF, l’86% dei cittadini non è a conoscenza della riforma costituzionale del 2022 che ha inserito la tutela della biodiversità e degli ecosistemi fra i principi fondamentali (articolo 9) e fra i diritti e doveri dei cittadini (articolo 41). Ma non è questa la più recente modifica costituzionale. Alzi la mano il lettore che sa che, a novembre scorso, la Legge costituzionale n. 2 del 2022 ha modificato l’articolo 119 per riconoscere la peculiarità delle Isole e “rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.
Per comprendere le ragioni del complesso rapporto fra la Costituzione e gli italiani, dobbiamo tornare alle radici. «Le forze politiche che, insieme agli Alleati, fecero la lotta di Resistenza hanno liberato l’Italia dal nazifascismo e hanno scritto una Costituzione destinata a durare», ci spiega Andrea Morrone, professore di Diritto costituzionale presso l’Università di Bologna, membro dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti e condirettore, fra l’altro, di alcune fra le più importanti riviste giuridiche italiane ed internazionali. «La nostra Carta – evidenzia – nasce da un accordo politico tra tutti i partiti rappresentati nell’Assemblea Costituente. In essa si ritrovano tre anime: quella cattolico-popolare, quella socialcomunista, quella liberale. Quell’accordo si riflette nelle tre parti che compongono la Carta: i principi fondamentali (democrazia; primato e garanzia dei diritti umani; uguaglianza non solo formale ma anche sostanziale; pluralismo sociale e istituzionale; laicità dello Stato); il catalogo dei diritti civili, politici e, soprattutto, sociali per la liberazione dal bisogno; l’organizzazione della Repubblica, con le due scelte decisive per un modello di governo parlamentare e un’articolazione territoriale del potere tra Stato, Regioni e Autonomie locali».
Quindi, la Costituzione è ancora attuale o non del tutto?
I principi e i diritti si sono radicati nel tempo e hanno permesso ai cittadini italiani di diventare finalmente liberi e progressivamente più eguali. In nome di quei valori fondamentali l’Italia ha superato crisi decisive negli anni del terrorismo e nella lotta alle mafie. La sfida della Costituente, da questo punto di vista, è stata vinta. Più difficile, invece, il giudizio sulla parte organizzativa. In linea con un mondo diviso a metà dopo la Seconda Guerra Mondiale, si scelse un parlamentarismo che riduceva il governo ad una funzione esecutiva degli accordi tra le forze della maggioranza, guidata per oltre 40 anni dalla DC, e il principale partito di opposizione, il PCI, condannato dalla collocazione atlantica dell’Italia a non poter governare. Motivi analoghi di equilibrio spinsero la Costituente a comprimere le regioni tra i forti poteri dello Stato, che doveva garantire a tutti i cittadini le medesime condizioni di sviluppo, di libertà e di eguaglianza, e gli altrettanto agguerriti enti locali (comuni e province).
Poi, è cambiato tutto.
Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la crisi dei partiti che avevano fatto la Repubblica per effetto di “Tangentopoli” si è tentato di aggiornare la Costituzione, specie nella parte organizzativa, ma senza successo. La revisione del regionalismo fatta con la riforma costituzionale del 2001 ha avuto esiti molto controversi, dato che la maggiore autonomia affidata a regioni e comuni ha aumentato le divisioni territoriali anziché ridurle, e il regionalismo differenziato spinge avanti in questa direzione. Inoltre personalismi, egoismi, lotte intestine anche tra alleati, visioni politiche limitate hanno impedito di aggiornare il processo di governo della Parte II della Carta. E questo nonostante i cambiamenti epocali del nuovo Millennio: l’integrazione europea sempre più spinta, che richiede governi stabili, guidati non più da un retrivo nazionalismo di ritorno ma da fini di solidarietà tra i popoli; la globalizzazione dell’economia, che prescrive esecutivi capaci di contrastare la morsa della speculazione finanziaria che allarga le diseguaglianze; i fenomeni migratori che impongono ai governi europei accoglienza guidata dal senso di umanità; il ritorno della guerra, infine, come espressione di nuove forze sovraniste e populiste contrarie a tutto ciò che c’è di buono nella democrazia liberale.
La Costituzione deve dunque cambiare?
Per affrontare e vincere le sfide che ho appena elencato occorre dare all’Italia un processo di governo adeguato ai tempi, più partecipato, che permetta agli italiani di scegliere direttamente chi governa e chi si oppone; che dia autorevolezza al Parlamento nell’indirizzare e soprattutto nel controllare il governo; che renda l’esecutivo titolare di poteri responsabili e decisivi nei contesti europei e internazionali che contano.
Il disinteresse verso la Costituzione non impedisce però alla Legge fondamentale dello Stato di continuare ad essere al centro del dibattito pubblico. Pensiamo alle discussioni nate intorno all’intervento del noto attore e regista Roberto Benigni all’ultima edizione del Festival di Sanremo proprio per celebrare l’anniversario della Carta Costituzionale. Per la prima volta, nel pubblico in sala, sedeva un Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tradizionalmente “custode” della Costituzione e dei suoi valori. Oppure al lungo dibattito intorno alla riduzione del numero dei parlamentari, approvata e poi confermata dagli elettori nel referendum costituzionale del 2020, il quarto nella storia repubblicana.
Perché, allora, gli italiani non leggono la Costituzione?
La forza di una Costituzione sta nella sua effettiva capacità di governare i suoi destinatari. Gli italiani sanno che il loro agire è regolato dai principi della Carta più di quanto si pensi. Sono i partiti e i leader politici che, specie quando ricevono il mandato a rappresentare e a governare, tendono a evitarla, per aggirare quei limiti che il diritto costituzionale pone a qualunque potere. Ecco perché la codificazione della tutela dell’ambiente, un’autentica innovazione nel panorama costituzionale, approvata quasi all’unanimità dal Parlamento nel 2022, è rimasta pressoché ignorata. Ma, come nel 1948, quando la stragrande maggioranza del popolo italiano non conosceva la nuova Costituzione – e chi vinse, anche allora, tentò di aggirarla o di stravolgerla -, il fatto che il testo stabilisca i principi fondamentali della convivenza sociale è destinato ad essere progressivamente recepito dalle coscienze e dall’agire individuale e collettivo. In questo consiste la forza di una Costituzione: il suo esserci spinge cittadini e istituzioni a farla propria.
Guardando ai più giovani, Senato, Camera e Ministero dell’Istruzione hanno riproposto un progetto per avvicinare alunni e studenti alla Costituzione attraverso concorsi, eventi, visite ed attività didattiche nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica che nel 2020 è tornato nelle scuole, dopo anni di esilio.
I banchi di scuola sono il posto giusto per far conoscere la Costituzione ai giovani, pur con una premessa indispensabile: conoscere la storia?
La Costituzione non è un pezzo di carta ma è la storia di un Paese. Dunque, formare i giovani allo studio della storia e alla sua critica è la premessa indispensabile per capire la Carta. La Costituzione, ogni costituzione, lega passato, presente e futuro, attraverso il succedersi delle generazioni. La Costituzione è fatta per durare proprio per questo motivo. Un solo esempio: se non si sa nulla del fascismo o ci si limita a banali e talora riduttive rappresentazioni, non si può capire la nostra Costituzione. Essa nasce dalla tragica esperienza della dittatura e rappresenta una decisione definitiva, un “mai più” di ripudio di ogni forma di totalitarismo, vecchio e nuovo. Dimenticare che la nostra Costituzione è antifascista o eliminare l’antifascismo dai nostri discorsi equivale a ignorare la nostra storia e ci impedisce di capire chi siamo e qual è il nostro destino. Eppure, chi si limitasse a leggere il testo farebbe fatica a cogliere la radice intrinseca della Repubblica democratica italiana. Fare più storia, allora, significa far conoscere la Costituzione.
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