Accelera in Spagna il dibattito sull’abolizione della corrida, una delle tradizioni più antiche del paese che oggi divide politica e società
Venerdì scorso il ministro spagnolo della Cultura, Ernest Urtasun, ha avviato le procedure per l’annullamento del Premio Nazionale della Corrida, sottolineando che “la gente comprende sempre meno che si pratichi la tortura sugli animali e che ad essa vengono dedicati dei premi”. Da tempo nel paese tira una brutta aria per quello che è considerato il retaggio di una millenaria tradizione mediterranea (basti pensare agli affreschi del palazzo di Cnosso), simbolo per eccellenza dell’unità del Paese. Questa è la posizione delle organizzazioni patriottiche spagnole che interpretano il divieto delle corride dei tori nella regione della Catalogna, istituito nel 2010 per ragioni etiche, come un tentativo di ribadire l’indipendentismo catalano contro il governo centrale.
I tori, “alta cultura”
La decisone di Urtasun ha riaperto una questione che da qualche tempo infiamma le piazze e i media spagnoli. La corrida è ancora patrimonio storico e culturale della nazione spagnola, come afferma la legge del 2013? L’intellettuale Carlos Marzal, sulle pagine di El Pais, difende la tauromachia come un’espressione di arte e alta cultura paragonandola ad un quadro o ad una suonata di pianoforte. E le dà anche un significato epico, che ritrova nel coraggio del matador nell’arena, contrapposto al bisogno di una società desiderosa di animali domestici da “domare”.
Il sadismo non è arte
Di tutt’altro parere le società animaliste e i loro sostenitori. Per Ruth Toledano di Madrid Capital Animal, la corrida è ormai solo una forma di tortura, evidente davanti alla crudeltà del sangue e della sofferenza dell’animale. Del resto, afferma, molte espressioni culturali del passato oggi appaiono inaccettabili, soprattutto se creavano sofferenza. La corrida non è solo lo spettacolo nell’arena ma è anche una festa popolare nella quale si maltrattano gli animali anche prima dell’arena. Per etica, conclude, lo Stato dovrebbe smettere di sovvenzionare un’attività ormai retaggio di pochi intellettuali nostalgici e difendere la scelta di Urtasun di non premiare gli abusi sugli animali, presupposto di ogni società giusta.
Cosa dice la Chiesa
Già nel 1567, con la bolla “De salutis gregis dominici”, il Papa Pio V si era schierato contro “l’uso pagano di combattere i tori, considerando che quegli spettacoli in cui tori e belve si scontrano nella pubblica piazza non hanno nulla a che vedere con la pietà e la carità cristiana. E di voler abolire tali spettacoli cruenti e vergognosi, tipici non degli uomini ma del diavolo.” La bolla non fu diffusa dall’Impero spagnolo, dove il re Filippo II aveva promosso la corrida come festa nazionale. Papa Francesco I nell’enciclica “Laudato si'” individua negli abusi sugli animali violazioni indirette della dignità umana: “L’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature finisce sempre per essere trasferita in qualche modo al trattamento che offriamo ad altri esseri umani. La stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nel rapporto con le altre persone”.
Dalle piazze alla politica
Il dibattito tra difensori e detrattori della corrida si riflette anche tra i partiti politici spagnoli. Alcuni, come PP e Vox, la difendono come simbolo nazionale, altri, come Sumar, la coalizione di Urtasun, privilegiano il rispetto dei diritti degli animali. Questa polarizzazione attorno alla corrida riflette, come si legge su La Sexta, una società divisa, dove la tradizione si scontra con i valori etici e le identità regionali si scontrano con l’idea di un’identità nazionale unificata. Intanto per ben due volte (l’ultima lo scorso anno) l’Unesco boccia la candidatura della corrida a Patrimonio immateriale dell’umanità. Mentre è di pochi giorni fa la notizia che a Città del Messico il giudice ha sospeso le corride in città “per la salvaguardia dei diritti fondamentali, della vita e dell’integrità dei tori”.
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