Quanti di voi, over 50 e over 60, sono ancora sposati con l’uomo o con la donna che hanno conosciuto corteggiato amato e preso negli anni lontani della giovinezza? Non così pochi, come l’immaginato mondo delle star hollywoodiane vorrebbe farci credere, non conosco dati statistici, ma a naso direi che sono (siamo, mi ci metto anch’io) parecchi, noi atleti del matrimonio, maratoneti dell’amore coniugale. I motivi per restare insieme anche dopo la fase passionale, che non dura – pare – più di un pugno di mesi, sono i più vari: c’è l’intesa e c’è l’intimità.
C’è la simpatia, sentimento meno gettonato dell’amore, ma molto più solido e durevole. C’è la complicità. C’è l’affetto, quel desiderio poco celebrato dalle canzonette che consiste nel volere il bene dell’altro, dell’altra, più che il bene proprio. E c’è anche la paura. La paura spesso è alla base della scelta di non separarsi. La paura, sì, quel senso di fragilità che ti acchiappa quando entri nel terzo tempo e, improvvisamente, vedi la fine possibile, probabile, le malattie inevitabili, la riduzione della forza, l’emarginazione come un destino molto concreto.
Si può rimanere insieme anche per paura della solitudine. Capita spesso. Ed è un sentimento umano, di cui non ci dobbiamo vergognare. Viviamo in una società scioccamente competitiva e poco solidale, che tratta gli anziani come merce scaduta. Viviamo isolati nei nostri appartamenti, spesso in situazioni urbane in cui, anche se ci si incontra in ascensore, non si va mai al di là di un distratto saluto. È normale che la solitudine ci faccia paura. Perciò restiamo con lui/lei, anche se lo/la conosciamo da 40 anni, abbiamo già ascoltato ogni singolo aneddoto sul suo passato migliaia di volte, conosciamo alla perfezione i suoi pregi e i suoi difetti.
Anche se il suo corpo, lavorato dagli anni e dalle ripetizioni, ci provoca la stessa quantità di desiderio che ci provoca quella vecchia cassapanca che da secoli sta nell’ingresso. Purtroppo, anche la solitudine a due non ci fa proprio sognare. «Invecchiare insieme è declino allo specchio», diceva la protagonista del romanzo che dà il titolo a questa rubrica (Il Terzo Tempo, Bompiani, 2017) e si organizzava per affrontare la sessantina rintracciando i suoi compagni di gioventù. Una pazza. Ci sono sistemi meno avventurosi per sopravvivere al deserto erotico di un matrimonio troppo lungo.
Per esempio, provare a rilanciarlo. Ci provano Meryl Streep e Tommy Lee Jones nel film Il matrimonio che vorrei: stanchi da una trentina d’anni l’uno dell’altro, lui sempre nascosto dietro il giornale, lei avvilita dalla sensazione di essere trasparente, decidono di sottoporsi a qualche seduta da un famoso terapeuta di coppia. No, non decidono. Lei decide, e impone a lui di accettare la sfida. Lui accondiscende senza crederci, per quieto vivere e tutto sta, ovviamente, precipitando verso il fallimento, quando qualcosa succede, uno di quegli imprevisti del cuore che salvano la situazioni più difficili. No, non è la terapia di coppia.
È il risveglio dei sensi. Succede anche nel film Le weekend di Roger Michelle, in cui gli sposi stanchi festeggiano il trentesimo anniversario di matrimonio a Parigi, dove hanno celebrato la luna di miele. Due pazzi, la situazione è di massimo rischio. Il confronto, il rimpianto, tutto materiale tossico per noi poveri over. Eppure anche lì… ce la fanno. Nella vita reale può succedere? Che cosa vi posso consigliare? Viaggi rituali? Terapia di coppia? Andare al cinema a vedere uno dei tanti film sull’eros? Se avete qualche ricetta per rivitalizzare matrimoni spenti, scrivetemi. Continueremo a ragionarci.
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