Prende piede in Italia (anche se gradualmente) la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità
Per realizzare il nuovo piano di strategia della salute mondiale, nell’ormai lontano 2000 l’OMS introdusse nell’ambito del progetto Health21 una nuova categoria di professionisti sanitari, quella dell’infermiere di famiglia. L’obiettivo dichiarato era quello di supportare i pazienti cronici in un modello di assistenza domiciliare organizzato per famiglie.
Un po’ di storia
Su queste basi il Decreto “Rilancio” (DL 34/2020) prevede per l’Italia post Covid che il SSN recluti infermieri cosiddetti di famiglia e di comunità. Pochi mesi dopo la Conferenza delle Regioni approva un documento di orientamento contenente le “Linee di indirizzo sull’infermiere i famiglia/comunità”, che fa specifico riferimento agli anziani con malattie croniche. La svolta avviene nel 2022 con il Decreto n. 77 del Ministro della Salute che, nell’ambito del nuovo piano della sanità territoriale, introduce l’infermiere di famiglia e di comunità all’interno delle Case di Comunità.
I punti salienti della professione
La nuova qualifica prevede una presenza continuativa in ambito familiare e comunitario, in collaborazione con i diversi professionisti presenti sul territorio: medici di base, terapisti, psicologi. Obiettivo finale: mettere al centro i bisogni del paziente favorendone la permanenza nell’abitazione e un accesso più facile ai servizi sanitari e di assistenza. Nella pratica dunque l’infermiere di famiglia e di comunità, come appare dalla definizione, è un professionista formato per operare all’interno delle strutture del territorio (Case della Salute, domicilio, ambulatori, luoghi di socialità). Un riferimento per tutti, pazienti anziani e cronici, bambini e adulti con fragilità, Rsa.
La ricerca di Fnopi
Data l’attuale situazione demografica – che fa prevedere per il 2050 63 anziani ogni 100 persone in età lavorativa – Fnopi (l’ente pubblico di rappresentanza degli infermieri) sottolinea l’importanza del ruolo professionale nell’assistenza domiciliare e residenziale. Un cittadino su due reputa che il numero di professionisti sia ad oggi insufficiente e chiede espressamente (78,6% degli intervistati) di poter contare sulla presenza di un infermiere di famiglia/comunità. Recependo le istanze pochi mesi fa Fnopi e Sicp (Società italiana Cure Palliative) hanno sottoscritto un documento per fornire all’infermiere di famiglia e di comunità una serie di strumenti utili per intercettare tempestivamente i bisogni del paziente e fungere da raccordo con la Rete di cure palliative.
Dove in Italia
Alcune Regioni (Lombardia, Piemonte e Toscana, ad esempio) hanno deliberato ufficialmente l’introduzione di questa figura nel Ssr. Altre (Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Puglia, Valle d’Aosta) hanno attivato sperimentazioni e altre ancora hanno presentato proposte di legge (Lazio, Sicilia) per la sua istituzione. Anche se lentamente, e in alcuni casi in via sperimentale, il piano va avanti, grazie anche alla collaborazione con i medici di famiglia. L’augurio è di un modello diffuso di assistenza in grado di intercettare i bisogni dei pazienti, monitorare le terapie e favorire la deospedalizzazione. Migliorando in tal modo nel quotidiano la qualità di vita delle persone affette da malattie croniche e fragilità.
© Riproduzione riservata