L’ultimo rapporto di ricerca di Sda Bocconi analizza il fenomeno della fuga del personale dalle Rsa e la crisi del sistema residenziale.
L’invecchiamento è oggi la grande sfida del welfare in Italia, dove vivono 3,9 milioni di anziani in condizioni di non autosufficienza. Un dato destinato a crescere nei prossimi 20 anni, quando la percentuale di over 65 passerà dal 24% al 35% della popolazione totale. Ad un aumento di popolazione sempre più anziana dovrebbe però corrispondere un adeguato insieme di servizi di cura ed assistenza che al momento stenta ancora a decollare. Se infatti l’offerta dei servizi privati scarseggia, il sistema delle Rsa – passati gli anni della crisi pandemica e colpito dal caro bollette – risente di una crisi nella programmazione sanitaria e sociale.
Il V rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas di Sda Bocconi
A questa crisi, e in particolare all’allontanamento del personale dalle Rsa, è dedicato il V rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas di Sda Bocconi, il Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale che evidenzia le cause del fenomeno correlato da cifre importanti. Nel 2022, infatti, il 61,7% tra infermieri e operatori si è reimpiegato in ospedali e servizi territoriali, mettendo a rischio la qualità dell’assistenza all’anziano e provocando il burnout del personale rimasto.
Alla ricerca di nuovi contratti
È una carenza grave, con la quale le strutture devono fare i conti, rivedendo non solo le professioni ma anche i ruoli. Le Rsa infatti nel tempo si sono trasformate da luoghi per il benessere dell’anziano in strutture di assistenza sempre più specifica e qualificata legata all’età. Ma, dopo la drammatica esperienza del Covid, molti operatori e infermieri hanno scelto di virare verso altre soluzioni lavorative, di assistenza familiare o ospedaliera, che offrono anche migliori condizioni contrattuali.
I dati della crisi
Il Cergas analizza la carenza degli infermieri nei servizi socio-sanitari per anziani nel 2022: in media del 21,7% (a fine 2021 era del 26%), associata a quella dei medici (13%) e degli operatori socio assistenziali (10,8%). Dati ancora più alti nel terzo settore, il cosiddetto no-profit, dove si sfiora una mancanza del 23,9% per gli infermieri, del 14,6% per i medici e del 12,6% per gli Oss (gli operatori socio-sanitari). A causa di ciò, spiegano dal Centro Ricerche Bocconi, “il 90% delle aziende riporta che i costi del personale sono aumentati, il 74% dice che il burnout dei dipendenti è aumentato e che la qualità dei servizi è peggiorata”.
Le soluzioni dei provider
In assenza di un quadro nazionale, i gestori individuano strategie personali di sopravvivenza e le strutture si adeguano. Anche se prevalgono le assunzioni a tempo indeterminato, c’è una tendenza ad aumentare i contratti a tempo determinato e le partite Iva, il che dimostra un ricorso sempre più ampio alla libera professione. Alcune residenze valutano anche la possibilità di assumere personale non formato, per poi pagare il corso di formazione come oss (operatore socio-sanitario), così da fidelizzarlo.
Riqualificare i professionisti
Per i ricercatori una soluzione al problema del dileguarsi del personale dalle Rsa è la riqualificazione del rapporto di lavoro e della figura dell’operatore/infermiere, rivedendo la formazione nell’ambito infermieristico per rendere il lavoro più “attrattivo”. Un risultato che dipende da un buon clima aziendale, dalla qualità del lavoro, dalla riorganizzazione dei turni. Ma anche dalla sensazione di essere valorizzati e formati anche a superare le esperienze difficili che si vivono in una Rsa. Tenendo conto che si tratta comunque di un lavoro usurante con una carriera limitata e che anche su questo bisogna intervenire in maniera strategica.
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