Con i suoi 97 anni di età, John Goodenough è oggi il più anziano vincitore del premio Nobel per la Chimica, togliendo così il primato ad Arthur Ashkin, che ha ricevuto il riconoscimento per la Fisica nel 2018, all’età di 96 anni.
Goodenough condivide l’onore con Michael Stanley Whittingham (Università di Binghamton a New York) e Akira Yoshino (Università di Meijo in Giappone). Il lavoro dei tre ricercatori, sviluppatosi tra gli Anni ’70 e gli Anni ’80, ha portato alla realizzazione di batterie al litio, leggere, ricaricabili e potenti. Sono le stesse che hanno rivoluzionato la nostra vita poiché presenti in telefoni cellulari, computer portatili, auto elettriche, pacemaker e molti altri dispositivi.
Gli studi sulla batteria al litio erano iniziati dopo la crisi energetica del 1973. Whittingham, in cerca di fonti alternative al petrolio, aveva cominciato a sfruttare il litio per sviluppare un nuovo tipo di batteria, senza riuscire però ad eliminare alcuni problemi legati alla sua pericolosità. Negli Anni ’80 Goodenough, che aveva intuito l’importanza della scoperta, rese queste batterie più performanti, raddoppiandone la durata. Infine, Yoshino risolse il problema legato alla mancata sicurezza, cosicchè nel 1991 furono immesse sul mercato.
Durante la tradizionale telefonata con cui il Comitato del Nobel annuncia la nomina al vincitore, Goodenough ha scherzato e ringraziato tutti, aggiungendo un particolare molto interessante. Quando gli è stato chiesto quale fosse il suo segreto per essere riuscito a dedicare un’intera vita alla ricerca, ha risposto in modo molto semplice: «Non andate in pensione troppo presto!». Un invito, quindi, a rimanere attivi. Sempre.
Ma chi è esattamente John Goodenough? La vita dello scienziato inizia a Jena, in Germania, dove nasce nel 1922 da genitori americani. Suo padre, in quegli anni, è un giovane assistente al dipartimento di storia dell’Università di Oxford, in Inghilterra. Ammiratore della Repubblica di Weimar e convinto assertore della superiorità della sanità tedesca dell’epoca, porta la moglie in Germania al momento del parto.
All’età di tre anni John si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, dove il padre aveva trovato un impiego all’Università di Yale come professore di storia delle religioni. Di quegli anni ricorderà sempre con nostalgia la grande casa di famiglia al limitare del bosco e le lunghe passeggiate nella prateria in compagnia del suo cane Mack, alla scoperta delle meraviglie della natura.
Intorno ai 7 anni Goodenough manifesta i primi sintomi di una leggera dislessia. Come racconta egli stesso nella sua biografia Witness to Grace: “Imparare a leggere è stata una battaglia! Leggevo meccanicamente senza la capacità di comprendere con facilità il senso di un paragrafo”. Ricorda di non essere mai stato un gran lettore e di come, negli anni della scuola, avesse dovuto lavorare duramente per combattere questo disturbo, definendosi “uno studente al contrario”. Tutto questo era divenuto motivo di una forte insicurezza, che diminuì solo col passare del tempo e che fu alla base della sua spinta verso lo studio delle materie scientifiche a discapito di quelle letterarie.
Nel 1934 viene ammesso alla prestigiosa Groton School, nel Massachusetts. L’educazione rigorosa e di alto livello lì ricevuta gli permetterà di entrare all’Università di Yale nel 1940. Allo scoppio della Secondo Guerra Mondiale, contrario da sempre a quella che definiva “la stupidità della guerra”, viene chiamato sotto le armi dove serve come meteorologo. Al termine del conflitto, consegue il dottorato di ricerca in Fisica all’Università di Chicago.
Ma è in Inghilterra, all’Università di Oxford, tra gli Anni ’70 e i primi Anni ’80, che – a capo del laboratorio di Chimica inorganica – inizia ad applicarsi alla scoperta che lo condurrà al Nobel.
Nel 1986, prossimo al pensionamento, torna negli Stati Uniti, in Texas, dov’è tuttora impiegato nel Dipartimento di Ingegneria, all’Università di Austin. Nel suo laboratorio, dove continua la ricerca su un nuovo polimero capace di aumentare l’uso dell’energia pulita, è appeso un arazzo che rappresenta L’Ultima Cena. Goodenough, profondamente religioso, è da sempre convinto che siamo chiamati a contribuire alla salvezza del pianeta e al miglioramento della vita umana con il nostro impegno. Perché questo è il compito che tutta la scienza, sostiene, è chiamata a fare.
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