Sopraffatto dalle pressioni, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha deciso che non concorrerà per la rielezione contro Donald Trump. La partita per sostituirlo è forse meno scontata di quanto sembra
«Malgrado fosse nelle mie intenzioni competere per la rielezione, credo che – nell’interesse del mio partito e della nazione – sia per me opportuno fare un passo indietro e concentrarmi sull’adempimento dei miei doveri di Presidente per il resto del mio mandato». Con una lettera diffusa domenica 21 luglio, il Presidente degli Stati Uniti d’America e leader del Partito Democratico Joe Biden ha annunciato il proprio ritiro dalla corsa per la Casa Bianca, che culminerà con le elezioni di novembre.
Joe Biden invitato a “farsi da parte”
La prova poco rassicurante offerta nel primo dibattito televisivo con Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano, le voci sulle sue condizioni fisiche e mentali, il pressing di organi di stampa come il New York Times, di membri del suo partito (tra gli altri l’ex presidente Barack Obama e l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi) e di autorevoli finanziatori della campagna democratica lo hanno alla fine convinto a farsi da parte. La positività al Covid, col conseguente periodo di isolamento per curarsi e riprendersi, è stata solo il colpo di grazia a una ricandidatura già appesa a un filo. I sondaggi tutti favorevoli a Trump, le gaffe e i vuoti di concentrazione sempre più frequenti del Presidente, che hanno alimentato un dibattito feroce intorno alla sua età e alla capacità di affrontare un secondo mandato presidenziale, sembravano già una sentenza di condanna irrevocabile alle sue ambizioni di rielezione.
Caccia al sostituto e l’endorsement a Kamala Harris
Nella lettera agli americani Biden ha rivendicato i risultati della sua presidenza, ha richiamato il Paese all’orgoglio, alla fede e all’unità e ha offerto pubblicamente il suo endorsement alla vice-presidente Kamala Harris (“la migliore scelta della sua vita”, l’ha definita) compiendo una piccola “fuga in avanti” che ha creato qualche imbarazzo nel partito. La scelta di Kamala Harris come sostituta di Biden nella campagna per le presidenziali appare la più logica, ma non è scontata. Una parte del Partito Democratico crede che la vicepresidente sia una figura troppo controversa (soprattutto per la gestione non proprio brillante del dossier-immigrazione) e non abbastanza forte per contrapporsi a Donald Trump con successo.
Gli altri possibili candidati
L’alternativa più quotata pare la governatrice del Michigan Gretchen Whitmere, ma qualcuno, nemmeno tanto sottovoce, fa addirittura il nome dell’ex first lady Michelle Obama. Kamala Harris, intanto, avrebbe fatto sapere di volersi “meritare la candidatura” contrapponendosi ad eventuali sfidanti nella convention del Partito Democratico, prevista per il prossimo 19 agosto. La questione è più complessa di quanto sembri: a novembre, in contemporanea con le elezioni presidenziali, si voterà anche per il rinnovo parziale del Senato, dove i Democratici temono di perdere la maggioranza. La scelta del candidato alla presidenza dipenderà anche dalla sua capacità di “trainare” i candidati senatori che si spera facciano conservare al partito il controllo di questo ramo del parlamento.
Pur tra i molti elementi di incertezza che ancora permangono, gli osservatori sono concordi nel ritenere che il ritiro di Biden e la bagarre per la successione hanno avuto, almeno per il momento, l’effetto di togliere dai riflettori Trump e il fallito attentato del 13 luglio e sottrarre ai Repubblicani il facile argomento della presunta inaffidabilità di Joe Biden.
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