L’esistenza come sofferenza, esposta in ritratti vibranti e in rappresentazioni grottesche del corpo, è il tema ricorrente di una delle più grandi pittrici viventi. Un centinaio di opere al Museo Novecento ed enormi tele in diverse istituzioni ne mostrano anche la correlazione con i maestri del Rinascimento.
Le Guerrilla Girls, diventate poi un gruppo organizzato che combatteva le diseguaglianze di genere nel mondo dell’arte, nacquero nel 1985, quando sette artiste protestarono in maniera intelligente, anonima e decisa contro le scelte dei curatori dell’importante mostra sull’arte contemporanea An international Survey of Recent Paiting and Sculpture che si teneva al MoMa di New York.
Sui 165 artisti (di 17 Paesi diversi) presenti in rassegna solo 13 erano donne, mentre l’85% dei nudi proposti raffiguravano il corpo femminile. La storica performance di protesta le vide indossare maschere da gorilla e dichiararsi, con un ironico gioco di parole, guerrilla girls.
Refuse to be a muse
Oggi sono sempre più le donne che si ribellano seguendo lo slogan “Refuse to be a muse” (“rifiutarsi di essere una musa”, ndr) e in molti denunciano la mancanza di artiste nelle collezioni più importanti. Di certo sarebbe se delittuoso se alcune artiste mancassero della dovuta attenzione da parte, non solo degli operatori culturali, ma anche del grande pubblico, perché la loro caratura e le loro opere sono di un livello talmente elevato da non essere raggiunto dalla pressoché totalità dei colleghi uomini.
Jenny Saville in mostra al Museo Novecento di Firenze
Non parliamo solo di Yayoi Kusama, la geniale e camaleontica artista giapponese, l’unica nell’elenco delle 20 esposizioni più visitate nel mondo. Parliamo anche di Jenny Saville, proposta in una nuova eccezionale mostra al Museo Novecento di Firenze.
Una visita da non mancare in una città che, oltre a offrire nello stesso periodo una rassegna dedicata a Jeff Koons, l’artista vivente che ha realizzato in asta la vendita più alta in assoluto (oltre 91 milioni di dollari per Rabbit, un giocattolone di metallo alto un metro), propone le immortali opere di Michelangelo e del Vasari, cui Saville fa riferimento. Con loro e con gli altri maestri del Rinascimento, Saville lavora in costante dialogo, come mostrano non solo le opere in rassegna ma soprattutto quelle di grande formato che ha voluto distribuire in quattro altre location: il michelangiolesco Studio per la Pietà al Museo dell’Opera del Duomo; un disegno e due dipinti alla Casa Buonarroti; Le Madri al Museo degli Innocenti, in cui la maternità assume valenze eterne e insieme discordanti; la monumentale fusione di tre corpi femminili in Fulcrum a Palazzo Vecchio.
Jenny Saville e l’interesse per il corpo umano
Jenny Saville, oggi 52enne, fu apprezzata fin dagli esordi nel gruppo dei British Young Artists, dimostrando un’attenzione al corpo umano e alle sue imperfezioni tanto profonda da portarla a studiare anatomia a New York presso un chirurgo estetico nel 1994. A Firenze sono in mostra un centinaio di opere, dipinti su tela e bozzetti su carta, che narrano i sussulti, le variazioni e le vulnerabilità del corpo femminile. Si parte dai ritratti, magnifici e suggestivi, vivi e coinvolgenti, ambigui e con riferimenti altissimi, da Lucien Freud a Graham Sutherland, ma anche Tiziano e Rubens, e bassi richiami alla cronaca e ai ritagli di giornale che lascia dietro di sé. L’artista inglese si muove sul filo di rasoio dove si incontrano gli estremi repulsione e fascino, dove i canoni stereotipati di bellezza imposti dalla società vengono stravolti, dove si mescolano il figurativo e l’astratto in una tensione che ne rivela l’atemporalità.
La capacità di esprimere la sofferenza del vivere
Tra le opere che colpiscono più a fondo il drammatico Rosetta II, ritratto di una giovane donna italiana non vedente, ma dagli occhi azzurri velati e luminosi, collocato sopra l’altare all’interno dell’ex chiesa dello Spedale, che nella sua potenza iconica quasi obbliga lo spettatore a distogliere lo sguardo, e il maestoso Autoritratto (After Rembrandt), che la raffigura alla maniera dell’Autoritratto con due cerchi del maestro olandese. Seguono poi le figure intere, gli “studi”, i dettagli, disegnati alla maniera dei grandi maestri, ma in forme spesso grottesche, con membra flaccide e informi, con una sessualità a volte esasperata a volte aleatoria, in cui il dinamismo è mentale e/o monumentale. Si passa, nell’alternarsi magistrale di olio, carboncino e pastello, e di un segno dinamico, fluido oppure abbozzato. da energici schizzi a grandi formati fitti e materici. Sempre Saville sa esprimere la sofferenza del vivere contemporaneo, con l’intreccio della membra, il piegarsi dei visi, la tenerezza dell’inconscio, l’abiezione del brutto, la brutalità del dolore. Il suo è un dipingere doloroso, con immagini insieme potenti e abbaglianti, di un espressionismo attuale che sa confrontarsi con l’informale e con il “classico”, specchio che all’impatto supponiamo distorto e quasi malato, ma che, con il proseguire della visita, ci appare sempre più realistico di quel noi profondo impantanato nel combattere con la difficoltà della condizione umana. E possedendo la dolorosa consapevolezza che la celebre massima di Cristina Campo “il senso di colpa è un non senso” è ogni volta pura illusione della mente e mai esaudito abbandono del cuore.
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