A generation in Japan faces a lonely death. Si intitola così un articolo pubblicato qualche tempo fa sul New York Times Magazine. Tradotto suonerebbe più o meno così: “In Giappone una generazione affronta la morte nella solitudine” e descrive in modo dettagliato l’evoluzione della vita all’interno della più nota danchi alla periferia di Tokyo.
In Giappone, le danchi sono enormi complessi residenziali costruiti intorno alle grandi metropoli all’inizio degli Anni ’60 e destinate ai giovani impiegati. Nacquero quando nel Paese del Sol Levante fu introdotto il concetto occidentale di famiglia nucleare, in contrasto con la tradizione nipponica della casa pensata per ospitare più generazioni.
Il New York Times Magazine ripercorre la storia della signora Ito (91 anni) e del signor Kinoshita (83 anni) e della loro vita oggi all’interno di una delle più note danchi: Tokiwadaira. Questo gigantesco complesso residenziale, dove la signora Ito vive da quasi sessant’anni, è una specie di monumento al boom demografico del dopoguerra e allo stile di vita “all’americana”. Ultimamente, però, è diventato famoso per qualcosa di molto meno edificante: le cosiddette morti solitarie. Una nota rivista, infatti, cogliendo il senso di tale emergenza nazionale, intitolava la scorsa estate “Quattromila morti solitarie alla settimana”.
Oggi quasi la metà dei residenti di Tokiwadaira ha più di 65 anni. La signora Ito è una narratrice per vocazione e tradizione. Ha scritto I 53 anni di Chieko nel danchi Tokiwadaira: un volume di circa 400 pagine zeppe di date, nomi, eventi e foto. Ito è nata in una famiglia di narratori. Il suo bisnonno paterno era un celebre cantastorie e i suoi racconti della storia feudale del Giappone sono conservati alla biblioteca nazionale. Sua nonna, fu anche lei una narratrice di professione. «Forse ce l’ho nel sangue», dice.
All’interno del libro la signora Ito divide la sua vita nel danchi in due parti. La prima comincia con il matrimonio e si chiude trentadue anni dopo, con la morte del marito e della figlia. La seconda parte, intitolata La mia seconda vita, racconta di amici, viaggi e vita nel danchi. Si ritrovano vecchi amici e se ne fanno di nuovi, anche se Ito li vede pian piano scomparire. Ito ha cominciato a scrivere per combattere la solitudine e per non dimenticare. «Anche i fatti spiacevoli», dice. «Altrimenti tutto è perduto per sempre».
La storia della signora Ito ha finito con l’incrociarsi con quella del signor Kinoshita, che ha 83 anni. Anche lui è uno degli uomini che vivono da soli a Tokiwadaira. Entrambi sono fiaccati dall’età e dalla malattia e, quindi, più vulnerabili. Durante il pranzo mensile degli inquilini, Ito ha iniziato a lasciare metà del suo pranzo al signor Kinoshita e, poiché sa che gli piace leggere, ha cominciato a prestaegli dei libri. Anche lui ne ha prestato qualcuno a lei, aggiungendo ogni tanto una tavoletta di cioccolata.
Quando per la prima volta Ito entra a casa di Kinoshita per riprendersi un libro, la trova in uno stato di degrado totale. Chiede allora ai referenti del fabbricato di farlo controllare dai volontari e quando per alcuni giorni l’uomo non da cenni di vita, viene chiamata la polizia che lo trova in un profondo sonno. L’uomo era imbarazzato, ma anche sollevato dal fatto che la sua esistenza interessasse a qualcuno: «Thanks for your kindness», grazie per la sua gentilezza, ripete Kinoshita in inglese.
Kinoshita se ne è andato da Tokyo alla fine degli anni Sessanta trasferendosi a Tokiwadaira quattordici anni fa, proprio quando le morti solitarie hanno cominciato a diventare un fenomeno diffuso. Anche lui ha avuto i suoi momenti di gloria, a cui si aggrappa con la stessa disperazione con cui la signora Ito si aggrappa ai suoi libri. Durante la costruzione del tunnel sotto la Manica, la sua impresa (I Love Industry) fornì una bobina per una pompa a una grande azienda appaltatrice dei lavori di scavo sotto lo stretto di Dover. Gli si illuminano gli occhi quando tira fuori il suo vecchio biglietto da visita, i bozzetti delle attrezzature e le foto dei bei tempi: è ritratto a una festa nella sede della Kawasaki, nel cantiere sotto lo stretto di Dover e a Parigi, durante il suo unico viaggio in Europa.
«La mia generazione aveva dei sogni», racconta il signor Kinoshita, che da raccoglitore di riso è diventato un ingegnere meccanico. Non avrebbe mai immaginato che il suo declino – e quello del Giappone – sarebbe stato così rapido. La sua amicizia con “Madame Ito” gli ha ridato slancio, anche se è quasi sempre lei a parlare. Di lei dice: «È molto assertiva, tanto che non riesco a dire una parola». È contento che lei gli lasci la metà del suo pranzo e gli presti dei libri, anche se lui ha gusti un po’ più osé. «Tendo a preferire i libri erotici», dice.
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