Oltre un terzo della popolazione è sedentario. Questo il quadro che emerge dal Rapporto realizzato dall’Osservatorio permanente che coinvolge tutte le fasce d’età soprattutto al Sud e nelle Isole
«Lo sport è vita», recitava così lo spot di una campagna di comunicazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, trasmessa qualche anno fa su radio e tv nazionali per promuovere una delle prime edizioni della “Settimana Europea dello Sport”. L’iniziativa, che quest’anno si svolge dal 23 al 30 settembre, è stata promossa nel 2015 dall’Unione europea con l’intento di promuovere stili di vita più attivi e sani, soprattutto in virtù di una generalizzata tendenza all’inattività.
Un trend che, stando al recente rapporto Gli italiani e lo sport, non sembra registrare un sostanziale cambio di rotta rispetto al passato. Realizzato dall’Osservatorio permanente sullo sport, spin-off di Fondazione SportCity – in collaborazione con Istat, Istituto Piepoli, Ibdo Foundation e numerosi esperti -, il Report evidenzia una persistente tendenza alla sedentarietà da parte degli italiani, tanto che la quota di ‘pigri’ supera un terzo della popolazione, con un andamento crescente all’aumentare dell’età: una persona su quattro tra i 18 e i 24 anni (23,6%) e quasi sette su dieci tra gli over 75 (67,2%).
Un quadro poco incoraggiante che sembra riguardare soprattutto il Sud e le Isole. «Il forte gradiente Nord-Sud con i tassi più bassi registrati nelle province autonome di Trento (16,2%) e Bolzano (16,9%) e i più alti in Calabria e Sicilia (59,3% per entrambe) – dichiara Federico Serra, presidente dell’Osservatorio permanente dello sport della Fondazione SportCity – mostra un’Italia spaccata in diverse realtà geografiche. Analogamente, in altre regioni meridionali più della metà della popolazione non pratica sport né attività fisica: Campania (55,1%), Puglia (54,8%) e Basilicata (53,7%)».
Marcate differenze si registrano inoltre in rapporto al titolo di studio, a conferma di una condizione legata anche alle disuguaglianze sociali: le persone con basso titolo di studio che non praticano sport o attività fisica sono il 49,7%, contro il 17,9% di coloro che possiedono uno titolo più elevato.
Focalizzandosi sulla distinzione tra generi, i dati Istat confermano maggiori livelli di sedentarietà da parte delle donne, con un 42,5% contro il 35,4% degli uomini. Un dato che si accentua soprattutto tra gli ultrasettantacinquenni: 74,4% contro 57,2%.
Anche rispetto ai giovani i numeri sembrano essere poco incoraggianti. Prendendo in considerazione, a livello mondiale, adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, emerge che tre ragazzi su quattro non praticano attività fisica come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e in Italia i numeri non sono di conforto. Secondo il ministero della Salute, settimanalmente il 20,2% dei bambini non pratica mai attività fisica; l’11,9% lo fa per non più di un’ora; il 38,3% per due giorni; solo il 27,2% arriva a tre-quattro giorni e il 2,3% pratica sport cinque-sette giorni a settimana.
Numeri al ribasso che lasciano perplessi e che, visti nel loro insieme, non possono non farci soffermare sulle conseguenti – e numerose – ripercussioni in tema di salute, in età avanzata ma non solo.
Sani stili di vita e regolare attività fisica rappresentano da sempre gli strumenti più potenti per prevenire l’insorgenza di diverse patologie, ad esempio metaboliche, cardiovascolari, neoplastiche, ma anche patologie croniche come l’obesità. Come ricorda Giuseppe Fatati, presidente di Italian Obesity Network: «Quando si introduce più energia di quanta se ne consuma, l’eccesso si accumula sotto forma di grasso, determinando un aumento di peso». I casi estremi conducono inevitabilmente verso l’obesità, generando un altro grave pericolo per la salute che, negli ultimi tempi, sta pericolosamente interessando le giovani generazioni.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che riconosce nella pratica dello sport un rilevante strumento di promozione della salute, si pone come obiettivo la riduzione del 15% dell’inattività a livello globale, tramite l’adozione di specifiche politiche sociali, educative, culturali ed economiche. È necessario avviare un programma d’azione comune che coinvolga istituzioni, famiglie, scuole, perché migliorare la qualità della vita del singolo individuo, e della collettività intera, significa educare alla cultura dello sport.
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