A chiusura del bilancio sulla situazione del Paese 2018, l’Istat ha parlato letteralmente di “declino demografico”. Nei primi 4 mesi del 2019 la diminuzione della popolazione è stata addirittura maggiore di quella registrata negli stessi mesi del 2018 (-76.000 contro -65.000) e, in particolare, il saldo naturale (la differenza fra nascite e decessi) è di -100.373 unità e ha inciso ancora di più in senso negativo.
In pratica, se nel triennio 2015-2018 si sono persi più di 400.000 residenti (più o meno quelli di una città come Bologna), nel primo quadrimestre del 2019 è andata persa la popolazione di una città come Asti. Le analisi parlano chiaro: l’Italia è il Paese europeo con il più basso tasso di natalità e il più fortemente invecchiato.
La demografia ha quindi finito con l’investire anche il mercato del lavoro che, tra il 2008 e il 2018, ha subìto profonde trasformazioni con una diminuzione di circa 900.000 occupati nel primo quinquennio. Dal 2014, poi, è iniziata una lenta ripresa che solo l’anno scorso è riuscita a “riagganciare” i livelli ante 2008. Un processo in cui hanno inciso le dinamiche macroeconomiche, le politiche del lavoro, le riforme pensionistiche, i flussi migratori e, naturalemente, l’invecchiamento della popolazione.
Quest’ultimo aspetto richiede un approfondimento specifico, perché ha cambiato di fatto la struttura per età della popolazione italiana modificando anche la composizione del mondo del lavoro.
I due periodi 2008-2012 e 2013-2018 hanno avuto opposte dinamiche occupazionali che da alcuni anni, non a caso, l’Istat quantifica nelle diverse classi di età, anche al netto della componente demografica (cioè a popolazione invariata in uno stesso periodo). Nel primo quinquennio i risultati sono stati negativi in tutte le classi di età eccetto che per i 35-49enni, i quali, aumentati di numero, hanno contribuito a contenere il calo occupazionale. Nel quinquennio successivo (2013-2018), con la ripresa del mercato del lavoro, sostenuta da incentivi come la decontribuzione e il “contratto a tutele crescenti”, tutte le classi d’età hanno mostrato variazioni tendenziali “attese” positive, anche se in misura più contenuta per gli under 50 rispetto ai 50-64enni.
In questo periodo la crescita demografica di questi ultimi ha contribuito ad accentuare l’aumento degli occupati. Si è passati da un +14,7% “atteso”, al netto degli effetti demografici, ad un +24,8% osservato. Inoltre, se si considerano le variazioni dell’occupazione delle diverse classi di età al netto della componente demografica, prima del 2014, quando si sono sentiti maggiormente gli effetti della crisi economica, esclusivamente i 50-64enni hanno avuto aumenti tendenziali dell’occupazione.
Partendo dalla curva che ha visto crescere gli occupati over 65 dai 392.000 del 2008 ai 653.000 di inizio 2019 (+ 261.000 occupati “anziani”), Mariano Bella – Direttore Centro studi Confcommercio – ha approfondito gli effetti della demografia sul mercato del lavoro over 65. Alla riflessione ha aggiunto l’analisi di quella che ha definito “componente comportamentale”: l’incremento di occupati dovuto alla variazione del tasso di occupazione nel decennio 2008-2018. La componente demografica è stata calcolata su quanti sarebbero oggi gli occupati over 65 se il tasso di occupazione del 2008 (3,35) fosse applicato al bacino di utenza potenziale odierno in questa classe di età (13.541.000 persone). Dal risultato (454.000 occupati) è stato sottratto il numero degli over 65 al lavoro nel 2008 (392.000); ne è emerso il contributo della pura crescita demografica nel periodo considerato che è di circa 62.000 occupati (454.000-392.000).
In realtà, il tasso di occupazione nella fascia di età matura è passato, nello stesso lasso di tempo, dal 3,35 al 4,82 che, applicato al bacino eleggibile di over 65 nel 2008 (11.703.000), produce il risultato di 564.000 occupati. L’occupazione aggiuntiva over 65 dovuta a quella che l’autore definisce “componente comportamentale” risulta essere di 172.000 unità (564.000-392.000); circa il triplo della componente demografica.
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