Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi demografica cronica e conclamata. Siamo ormai il Paese del malessere demografico, come scrivono Antonio Golini e Marco Valerio Lo Prete in Italiani poca gente. Siamo in pochi, sempre meno. Il tasso di fecondità, infatti, è collassato a 1,32 figli per donna, molto sotto il livello di 2,1 figli per donna necessario a mantenere stabile la popolazione di un Paese.
Siamo entrati in emergenza demografica almeno 20 anni fa e ormai dall’emergenza siamo passati alla crisi. La pandemia non ha fatto altro che infierire su una situazione già in declino. I dati del 2020 illustrati nei giorni scorsi dal presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo, alla V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati, parlano da soli. Del resto, sono anni ormai che il numero complessivo delle nascite non riesce a compensare quello dei decessi.
«La sostenibilità di tale tendenza – che inciderà inevitabilmente sui rapporti intergenerazionali – avrebbe dovuto essere già da tempo tra le priorità del Paese, offrendo stimoli alla progettazione delle politiche ai diversi livelli di governance». La crisi demografica, infatti ha molteplici conseguenze: economiche, sociali, competitività internazionale, tenuta del sistema pensionistico, rischio di conflitti intergenerazionali e migrazioni.
Nel 2020 i nati come 150 anni fa e i decessi come nell’anno della “spagnola”
«Guardando al bilancio demografico del 2020 – spiega Blangiardo – due sembrano essere i confini simbolici destinati ad infrangersi: il margine superiore dei 700mila morti – oltre il quale nell’arco degli ultimi cent’anni ci si è spinti giusto all’inizio (1920) e quindi nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944) – e il limite inferiore dei 400mila nati, una soglia mai raggiunta negli oltre 150 anni di Unità Nazionale. Si tratta di due sconfinamenti che spiegano il valore negativo del saldo naturale di oltre le 300 mila unità». Si tratta di un risultato che «nella storia del nostro Paese, si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni di decessi registrati in quel catastrofico anno».
I matrimoni crollati di oltre la metà: effetti sulle nascite
E veniamo ai matrimoni. «I primi dati disponibili in forma provvisoria per il periodo gennaio-ottobre, segnalano per il 2020 circa 85mila matrimoni, a fronte dei 170mila nei primi dieci mesi del 2019 e dei 182mila del 2018. Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso, anche assai generalizzato».
Quali sono gli effetti sulle nascite? Vista la «persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a due terzi del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressoché ovunque, una ulteriore caduta della natalità nell’immediato futuro».
Ancora meno nascite nel 2021
Al crollo dei matrimoni occorre mettere in conto anche gli effetti del rinvio dei concepimenti che, verosimilmente, si protrarranno anche nel corso del 2021 (almeno nei primi mesi). «Da qui la piena convinzione che, a meno di inaspettati e improbabili fattori a supporto della fecondità, difficilmente ci si potrà sollevare in tempi brevi dalla soglia dei 400mila nati toccata nel 2020. In realtà, il timore è che il confine possa ancor più discostarsi, sempre al ribasso, nel bilancio finale del 2021». Infatti, lo scenario per il 2021 prevede un’ulteriore riduzione con 393mila nati.
Ci sono possibilità di uscita da questa crisi?
«La pandemia ci ha messo di fronte alle nostre fragilità, ora dobbiamo costruire un percorso nuovo, mettendo in campo pienamente la collaborazione tra le generazioni. Questa è l’occasione, se vogliamo coglierla – ha spiegato il demografo Alessandro Rosina in questa intervista alla rivista 50&Più -. Non ci sono più scuse. Abbiamo le risorse necessarie, quelle di Next Generation Eu, quindi non abbiamo più alibi. Non possiamo scaricare sulle nuove generazioni sia gli squilibri demografici sia il debito pubblico. Per questo è fondamentale investire in formazione, politiche attive del lavoro, valorizzazione del capitale umano all’interno delle aziende e delle organizzazioni».
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