Gli ultimi indicatori demografici dell’Istat fotografano un aumento dell’età media della popolazione italiana e una natalità ormai al limite storico.
La demografia italiana, ancora sotto la stretta del Covid, è in continuo assestamento. I dati dell’Istituto Superiore di Statistica confermano per il 2021 un livello negativo del saldo naturale, una misura data dalla differenza tra il numero dei nati e il numero dei morti di un determinato periodo. Una nota dolente, dunque, poiché un saldo naturale positivo esprime un eccesso del numero di nascite rispetto al numero dei decessi ed è sintomo di una società vitale e dinamica. Viceversa, un saldo naturale negativo è sintomo di un difetto del numero di nascite rispetto al numero dei decessi. Con le ovvie conclusioni del caso.
Italiani, pochi figli
In Italia si fanno sempre meno figli, basti pensare che nel 2021 le nascite sono scese al minimo storico con 399.400 bambini, sebbene l’anno abbia registrato deboli segnali di ripresa, che però non destano molta fiducia. Per l’Istat infatti solo l’illusione del superamento dell’emergenza pandemica del maggio 2020 può aver determinato il lieve aumento dei nati a marzo 2021 (+4,7%). Inoltre, sottolineano i ricercatori, questo lieve trend positivo ha riguardato soprattutto madri over 35, perché il rinvio delle nascite rimane accentuato tra le donne più giovani. Questi dati relativi alla bassa natalità – e una confermata longevità -, fanno così di quella italiana una società sempre più anziana. Nonostante le pesanti ricadute della pandemia.
Aumenta la speranza di vita (ma non dappertutto)
Nel 2021 la speranza di vita alla nascita è di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 anni per le donne. Senza distinzione di genere risulta pari a 82,4 anni. Le stime, pertanto, mostrano un recupero rispetto al 2020 di 4 mesi di vita in più per gli uomini e di circa 3 per le donne. Ma esiste una disomogeneità territoriale. Al Centro, infatti, non si registra nessun miglioramento, anzi i numeri indicano una leggera flessione. Mentre a Nord la speranza di vita alla nascita recupera in media 11 mesi di sopravvivenza sul 2020. E questo anche nelle regioni più colpite dal Covid, come la Lombardia. Il Sud invece arretra, come dimostra Agrigento, che al mese di vita guadagnato nel 2020 se ne vede sottrarre 19 nel 2021. Per gli esperti una possibile spiegazione è correlata al tasso di vaccinazione e ai tempi della pandemia, che ha colpito per prime proprio le aree subalpine. Se infatti nel 2020 il calo dell’aspettativa di vita e la mortalità avevano colpito maggiormente il Nord, l’anno seguente si erano spostati nel Mezzogiorno, dove la speranza di vita alla nascita oggi scende a 81,3 anni contro una media nazionale di 82,4 anni.
La pandemia non blocca l’invecchiamento
Nell’ultimo anno gli over 65 sono 105mila in più, costituendo il 23,8% della popolazione totale contro il 23,5% dell’anno precedente. Contestualmente diminuisce – anche se non di molto – la fascia della popolazione attiva tra i 15 e i 64 anni (198mila in meno). Il processo di invecchiamento non si interrompe neanche nelle regioni che più hanno sofferto gli effetti drammatici della pandemia. Al Nord e al Centro gli over 65, infatti, passano rispettivamente dal 24,1% al 24,3% e dal 24,2% al 24,5%. Solo il Sud rimane mediamente più giovane, passando dal 22,3 al 22,7%. La pandemia dunque, spiega l’Istat, può avere al massimo rallentato ma non bloccato l’invecchiamento degli italiani. Addirittura, diversamente da quanto si potrebbe pensare, sono proprio gli ultracentenari (100 anni e più) a raggiungere nel 2022 un livello di crescita mai visto prima.
La carica degli ultracentenari e l’aumento dell’età media
Il loro numero, infatti, che attualmente supera le 20mila unità, risulta quadruplicato nell’arco degli ultimi 20 anni. Come se queste persone, ritenute più fragili, possiedano una maggiore immunità rispetto al Virus, o abbiano ricevuto una maggiore protezione dal fatto di essere stati vaccinati per primi. Un’ipotesi suggestiva, se notiamo che una crescita così elevata si registra anche nella fascia immediatamente inferiore: quella degli over 90. Non solo, questa componente demografica è interessata da incrementi non riscontrati in nessun’altra categoria. Per esempio, conclude il Rapporto, tra i 65-79enni la crescita rilevata tra il 2019 e il 2022 è appena dell’1,5%, mentre tra gli 80-89enni si arriva al 4,3%. Più significativo è l’aumento tra i 90-99enni, pari al 7,4%, che suggerisce che in futuro la crescita degli over 100 possa continuare a risultare molto sostenuta.
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