A oltre quarant’anni dal debutto letterario, la scrittrice e giornalista trentina propone una gustosa raccolta di racconti dedicati a vari tipi di uomini, con vizi e vezzi, pochi pregi e molti difetti. Ma anche le donne che li amano…
La giornalista del Corriere della Sera, Isabella Bossi Fedrigotti esordì come scrittrice nel 1980 con Amore mio, uccidi Garibaldi, che raggiunse subito i primi posti delle classifiche di vendita. Con i successivi romanzi, raccolte di racconti e saggi – in totale una trentina di libri – ha ottenuto il Premio Selezione Campiello (con Casa di guerra del 1983, finalista anche dello Strega), il Campiello (con Di buona famiglia del 1991), il Basilicata (con Magazzino vita del 1996) e il Settembrini (con i racconti di La valigia del signor Budischowsky del 2003). È di poche settimane fa il suo ritorno in libreria con Tutti i miei uomini.
I dieci capitoli sono tutti scritti in prima persona e il titolo dice “i miei uomini”. Come mai questa scelta, che suggerirebbe quasi una lettura autobiografica?
Ho sempre amato scrivere in prima persona. Vari miei libri lo sono, perché riesco a esprimermi meglio, più direttamente, con più forza, con più sincerità. I “miei” del titolo, una parola che ha turbato diverse mie conoscenze, sono diventati miei perché ne scrivo. Tre sono più vicini alla realtà, più autentici, altri sono storie di amiche mie, me ne sono impadronita. Sono tutti dei piccoli puzzle, lo scrittore ha il dovere di inventare. Non posso fare dei ritratti come sono realmente, devo creare dei personaggi. Nell’insieme direi che sono tutti “inventati dal vero”, una formula che ho rubato al poeta Attilio Bertolucci.
Quando scrisse il suo ultimo libro, un romanzo in versi intitolato La camera da letto, il giornale mi mandò a intervistarlo sull’Appennino Tosco-Emiliano, in un paesino di villeggiatura montana estremamente semplice. Arrivo nella sua casa, trovo lui, la moglie, i mobili, le stanze, il paesaggio, esattamente come li aveva descritti nel libro. Allora gli ho posto la domanda che si fanno sempre i lettori: “Ma è tutto vero?” Lui mi ha risposto con un bel sorriso. “No, è inventato dal vero”. Una definizione che mi porto dietro da allora, perché si adatta anche ai miei libri.
Lei scrisse Il catalogo delle amiche poco più di venti anni fa, un libro dedicato a dieci tipologie di donne. Cosa le ha fatto decidere di analizzare l’altro lato della barricata?
Un po’ le letture, un po’ perché ci pensavo da tempo. Gli amici mi dicevano: “Perché non scrivi anche di uomini?”. Ricordavo che “le amiche” le avevo scritte in poco tempo, ero più giovane e un poco più svelta. Invece con gli uomini è stato un avanzare nella tundra con la neve, perché le donne le conosco, le guardo, ci parlo. Gli uomini, invece, sono rimasti un grande mistero: non è bastato arrivare alla mia veneranda età per capirli. Ogni volta che chiedevo agli uomini che si interessavano al mio lavoro mi dicevano: “Ma noi siamo molto più semplici di voi donne”. Lo direbbe anche lei immagino…
Ho proprio pronta la domanda. Noi uomini pensiamo spesso che sia più semplice capire cosa si nasconde dentro un buco nero della Via Lattea che l’universo femminile. Invece i suoi uomini sembrano quasi tutti dei fini psicologi, che conoscono e approfittano delle debolezze della controparte femminile, soprattutto la paziente voglia di assistere, proteggere, curare…
Dite sempre così: “Gli uomini sono molto più semplici delle donne, è tutto qui, è tutto sul tavolo, non c’è niente da nascondere, vogliamo questo, vogliamo quello”. Questa è la classica descrizione che gli uomini mi fanno di sé, anche quelli dotati di intelletto e profondità. In questo libro ogni uomo ha delle controparti femminili, alcune sono proprio sceme e si fanno imbrogliare dai loro partner. È un tratto però che ancora resiste, penso alle famose fidanzate degli uomini sposati che stanno da sole durante le feste, che nei fine settimana non possono telefonare; sono stranamente ancora numerose. Invece, di uomini così praticamente non ce ne sono: un uomo che si fidanza con una donna sposata resiste per un po’, ma poi, giustamente, desiste.
Lei dice di essere molto lenta a scrivere…
Sì, perché sono pigra. Metto ordine nell’armadio della biancheria piuttosto che scrivere. Devo chiamare a raccolta tutte le lezioni di disciplina per mettermi a farlo. E non ho mai scritto più di una pagina al giorno in vita mia. Per il giornale invece sì, ho scritto anche tre cartelle al giorno, per i libri mai. In più, oggi, avendo dei nipoti piccoli mi piace stare con loro, molto più che mettermi lì a covare un libro. Ogni volta che ne comincio uno ho la sensazione di dover scavare un tunnel con un cucchiaino da caffè, anche grazie ai miei ritmi lenti. Mi dico sempre: “Non ce la faccio, non ce la faccio”. Il fatto che ci sia riuscita una decina di volte non mi dà alcuna sicurezza. Non mi dice: “Tranquilla, anche se piano piano, ce la farai”, ogni volta mi prende lo sconforto.
Lei dice spesso: “È molto più divertente e facile fare il giornalista piuttosto che lo scrittore”. Quali sono le principali differenze e difficoltà dei due modi di scrivere?
Lo scrittore ha bisogno di silenzio e solitudine, che sono condizioni che non a tutti stanno bene. Io detesto la solitudine e il silenzio, mi piacciono, non dico il rumore, ma le voci, la presenza, la vivacità. Al giornale queste due condizioni non sono necessarie, anzi, al contrario, devi parlare con i tuoi colleghi per avere delle idee buone, per avere delle informazioni. E poi c’è che la responsabilità, se scrivi per un quotidiano come è toccato a me, finisce il giorno dopo, invece con il libro non dico duri anni, però sta lì molto più a lungo. È più lieve il giornalismo, però l’allenamento quotidiano che offre – perché nei giornali devi scrivere tutti i giorni – è la palestra preziosa per la grande corsa che è la scrittura di un libro. Ti facilita il linguaggio, lo distende, lo migliora. Io non ho mai avuto paura della pagina bianca, dell’incipit, perché al giornale non puoi stare lì a cincischiare in cerca dell’attacco fulminante, ti devi tuffare. Non ho mai avuto questo problema grazie alla mia attività principale, che è stata quella che mi pagava lo stipendio, non certo la letteratura.
Per citare una canzone famosa le chiedo quali sono secondo lei “le stagioni dell’amore”? Cambiando l’età e il modo di essere delle persone cambia anche il modo di affrontarlo, oppure l’amore è l’amore sempre e comunque?
No, penso che l’amore in età, che viene oggi molto decantato, sia diverso, se non altro perché, come dice il coro dei miei amici: “Andare a vivere insieme certamente no”, almeno potendoselo permettere. Si fanno viaggi per stare insieme ogni tanto. Ognuno ha i suoi figli e i suoi nipoti, e il tempo da trascorrere insieme è necessariamente ridotto. Per cui il passo delle storie è più lento, più rilassato.
Ma può essere altrettanto profondo?
Forse sì, però c’è troppo vissuto, c’è troppa esperienza per farsi fregare, scusi il termine.
Come dice un’altra canzone e anche lei spesso “gli uomini non cambiano”. E le donne?
Anche le donne non cambiano. Forse un cicinin, come dicono a Milano, in più, se si mettono d’impegno. Gli uomini certamente non cambiano.
Le donne sono più coraggiose?
Penso di sì, lo sento dire spesso. Però, nel fuoco si buttano più facilmente gli uomini. In fondo io non sono un’esperta di uomini o di donne. Sono una scrittrice che inventa delle storie.
IL LIBRO
I racconti di Tutti i miei uomini (Longanesi, 160 pagine) sono una risposta a Il catalogo delle amiche, che Bossi Fedrigotti scrisse nel 1998. La scrittrice si rivolge in prima persona a dieci tipi maschili: il macho, il trasformista, il narciso, il salutista, il rubacuori e così via. Li tratta con ironia e nostalgia oppure con tenerezza e indulgenza, anche perché questi uomini conoscono a fondo la psicologia femminile e ne approfittano. Dice Fedrigotti, che nel 2019 ha ricevuto anche il Premio Fondazione Campiello alla Carriera: «Scrivere Il catalogo delle amiche è stata una passeggiata, mentre per questo “catalogo degli amici” ho spesso avuto la sensazione di trovarmi in un terreno aspro e ombroso, difficile da esplorare». A dimostrazione che non sempre è vero che gli uomini sono meno complicati delle donne.
© Riproduzione riservata