La chiamano The Hate Destroyer, “la distruttrice d’odio”, e a sentirla nominare così ci si potrebbe immaginare una macchina da guerra o una wrestler mascherata. Invece no, si tratta di una signora di settantacinque anni di Berlino.
Il suo nome è Irmela Mensah-Schramm e prima di andare in pensione era un’insegnante. Il suo aspetto è tutt’altro che inquietante e fa sorridere che qualcuno possa chiamarla “la distruttrice”. Ma è proprio questa la sua forza: Irmela con il sorriso sulle labbra e lo sguardo dolce si batte tutti i giorni per la difesa dei diritti umani.
Dal 1986, infatti, ha avviato la sua battaglia fotografando, rimuovendo e archiviando tutti gli adesivi e i graffiti razzisti e antisemiti visti per le strade del suo paese.
La settantacinquenne berlinese trascorre in media tra le 20 e le 40 ore settimanali rimuovendo i messaggi razzisti dagli spazi pubblici per poi raccoglierli ed esibirli in numerose mostre sul tema della lotta contro l’odio razziale. Fino ad oggi, ha organizzato più di 450 eventi con cui cerca di divulgare il proprio messaggio.
La sua vasta collezione conta quasi 80.000 adesivi raccolti solo negli ultimi dieci anni. Ma la campagna di Irmela non è certo senza rischi: sempre più spesso riceve insulti e minacce di morte e in alcune occasioni è stata vittima di attacchi diretti. Una volta, ad esempio, fu attaccata da un addetto dei trasporti pubblici di Berlino mentre oscurava dei graffiti che dicevano “Gas ai turchi“: durante l’aggressione cadde a terra sbattendo la testa e riportando un trauma cranico.
Eppure, nonostante questi pericoli, la signora Mensah-Schramm non esce mai senza la sua attrezzatura: all’interno della sua sacca porta sempre con sé la sua macchina fotografica, un pennello, un raschietto, il diluente e la sua bomboletta di vernice rosa. A lei e alla sua opera di distruzione dell’odio sono stati dedicati un documentario intitolato The Hate Destroyer e una canzone dal titolo La donna coraggiosa.
All’interno della pellicola incentrata sulla sua missione Irmela ha affermato di non sentirsi un’eroina: «Penso all’indifferenza nella società e mi preoccupa terribilmente. Io non sono speciale, ma questa battaglia dovrebbe interessare tutti quanti. La prima volta che ho staccato un adesivo razzista stavo andando al lavoro: aspettavo l’autobus e l’ho visto lì, sotto gli occhi di tutti. Non ho fatto che pensarci tutto il giorno, così quando sono arrivata a casa, 10 ore dopo, ho preso il mio mazzo di chiavi e l’ho grattato via. Mi sono sempre chiesta se qualcun altro avrebbe sentito l’esigenza di farlo così come è capitato a me».
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