È necessario un reale riconoscimento della figura del caregiver e di una tutela per la sua salute. Nelle ultime due legislature sono stati fatti timidi passi in avanti: ora è tempo di concretizzare
Gli effetti (e gli strascichi) della pandemia, che ancora fatichiamo a lasciarci alle spalle, hanno reso evidenti disuguaglianze ed ingiustizie ormai normalizzate, passate troppo a lungo inosservate, e che oggi assumono una nuova forma sotto il peso dell’evidenza pubblica. Il lavoro di cura, soprattutto quello non remunerato, è stato oggetto di grande attenzione negli ultimi due anni: in una cornice complessa emerge, con più forza rispetto al passato, l’assenza di un quadro legislativo organico e sistematizzato che tuteli diritti e garantisca maggiore dignità alla figura del caregiver familiare, profilo ben diverso dal caregiver professionale, noto ai più con l’appellativo – usato sin troppo in maniera dispregiativa – di “badante”.
Secondo i dati Istat rilevati per l’indagine Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea, pubblicati a gennaio di quest’anno, nel 2019 i soggetti con più di 15 anni che prestavano assistenza a familiari rappresentavano il 13,5% della popolazione, ossia circa 7 milioni di persone, con una componente femminile pari al 58%.
La normativa italiana ha riconosciuto per la prima volta il caregiver familiare con la Legge di bilancio 2018, definendolo come chi assiste e si prende cura di un coniuge (considerando anche le unioni civili omosessuali ed i conviventi di fatto), di un familiare entro il secondo grado o (in alcuni casi previsti dalla legge) di un familiare entro il terzo grado, che vive una condizione di infermità o disabilità a causa di malattia, invalido o non autosufficiente.
La Legge di bilancio 2018 istituiva anche un “Fondo per il sostegno del titolo di cura e di assistenza del caregiver familiare” da ripartire alle Regioni per interventi di sollievo e sostegno destinati al caregiver familiare, secondo determinati criteri e priorità. Un secondo Fondo è stato poi istituito con la Legge di bilancio 2021, destinato alla copertura finanziaria degli interventi legislativi per il riconoscimento dell’attività non professionale del caregiver familiare e che per il 2022 può contare su di una copertura di 80 milioni di euro.
Passi concreti, ma ancora troppo timidi e di certo non ancora sufficienti ad offrire maggiori garanzie per i caregiver. I riflettori sono giustamente puntati sulla persona assistita, ma troppo spesso vengono dimenticati i bisogni e la dimensione personale di chi presta assistenza e cura profusa, portandosi dietro – e dentro – un carico emozionale e psicofisico che logora il benessere e, troppo spesso, anche la dignità. I caregiver vivono una condizione di difficoltà, appesantita dall’assenza di risposte flessibili che possano permettere loro di ritagliarsi uno spazio di libertà, recuperare energie mentali e forza fisica, e che assicuri di ricevere un adeguato supporto esterno nel caso in cui siano impossibilitati ad assistere, per propria malattia o cause terze non programmabili.
Inoltre, elemento non di poco peso, la questione della tutela dei caregiver familiari ha anche un risvolto importante sulla parità di genere, nel quadro delle politiche di supporto al work-life balance (bilanciamento tra lavoro e vita quotidiana). Nella maggior parte dei casi, e i dati lo confermano, sono proprio le donne – figlie, madri, mogli, compagne – a prendersi cura di chi ha bisogno di assistenza nel nucleo familiare, rinunciando alla carriera ma anche alla libera gestione della propria quotidianità.
Negli ultimi anni, più precisamente nelle ultime due legislature, l’interesse delle istituzioni nei confronti dei prestatori di assistenza è aumentato notevolmente, e ne sono prova i numerosi disegni e proposte di legge depositati in entrambi i rami del nostro Parlamento. Scoraggia, però, l’incapacità (o l’assenza di una concreta volontà) di iniziare un dibattito serio sul tema e di portare le proposte normative al voto ed alla loro realizzazione.
Ad oggi, il disegno di legge su cui vengono riposte le principali speranze è il Ddl 1461, a prima firma della senatrice Nunzia Nocerino (M5S). La discussione del testo, depositato nell’agosto 2019 ed assegnato alla Commissione Lavoro del Senato ad ottobre dello stesso anno, è ferma al luglio 2020. L’intenzione di procedere celermente c’è stata, richiedendo il contributo delle associazioni e avanzando con la fase emendativa in Commissione, per poi arenarsi – come prevedibile – sul nodo delle risorse economiche.
In sintesi, la proposta prevede il riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura e di assistenza svolta dal caregiver familiare come volontaria, e modifica la definizione della figura di caregiver familiare – così come declinata nella Legge di bilancio 2018 – precisando che l’attività prestata è a titolo gratuito. Sono previsti, inoltre: il riconoscimento dei contributi figurativi a carico dello Stato per un massimo di tre anni; l’adeguamento dei livelli essenziali delle prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza in favore del caregiver familiare, dedicando attenzione alla domiciliarizzazione dei servizi sanitari; l’introduzione di misure per la rimodulazione dell’orario di lavoro e per avere priorità nella scelta della sede lavorativa più vicina alla residenza dell’assistito; il riconoscimento delle competenze acquisite nello svolgimento delle attività di cura e assistenza, così da semplificare il reinserimento lavorativo; specifiche detrazioni fiscali per le spese sostenute.
Come anticipato, a bloccare l’avanzamento della proposta legislativa è principalmente la questione della copertura finanziaria: le stime economiche per i contributi figurativi e per eventuali scivoli di pensionamento anticipato superano ampiamente le risorse assegnate ai due citati Fondi dedicati.
Eppure, non è impossibile dare forma ad un sistema che possa supportare in maniera complessiva i bisogni dei caregiver. La Regione Emilia-Romagna, ad esempio, rappresenta una eccellente “best practice”: con la Legge regionale 28 marzo 2014, n.2, si è costruito un sistema per dare sollievo e sostegno ai caregiver nell’ambito del progetto di vita e di cura dei loro assistiti, attraverso contributi economici, il rafforzamento della rete dei servizi territoriali e domiciliari, formazione, supporto psicologico e riconoscimento delle competenze.
L’Istat stima che entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 35% della popolazione: l’Italia, negli ultimi 40 anni, è stata caratterizzata da un basso tasso di natalità ma con un’alta speranza di vita, rendendola un Paese ad elevato processo di invecchiamento. È quindi sempre più importante inquadrare strutturalmente e valorizzare la figura del caregiver familiare, che diventa fulcro del tessuto nazionale dei servizi di cura.
Nonostante il ritardo nell’approvazione di un testo normativo efficace, rimane l’attenzione delle istituzioni sulla centralità di chi presta assistenza. Dai lavori della Quarta Conferenza Nazionale sulla Famiglia, svoltasi a dicembre 2021 e promossa dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono emerse alcune importanti indicazioni per il prossimo futuro: ripartire innanzitutto dalla domiciliarità come elemento indispensabile, ma non esclusivo, del sistema attorno al quale dare forma a servizi e supporti efficaci, che aumentano il grado di protezione al crescere della non autosufficienza. Sarebbe anche necessario dare impulso al cosiddetto “abitare leggero”, ossia una visione abitativa che consideri strutture di piccole dimensioni, pensate per persone con parziale autonomia: alloggi protetti, comunità residenziali, housing sociale. Non dimentichiamo però un passaggio essenziale: qualsiasi politica di sostegno deve essere affiancata da una maggiore informazione e sensibilizzazione pubblica sul ruolo cruciale che svolgono i caregiver nelle nostre società, perché non siano lasciati soli ed escano da quella zona d’ombra che troppo spesso li rende, per molti di noi, invisibili.
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